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mardi, 14 décembre 2010

Zeev Sternhell: I diritti di Israele hanno bisogno di una guerra perpetua

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I diritti di Israele hanno bisogno di una guerra perpetua

 

 DI ZEEV STERNHELL

(ex: http://www.comedonchisciotte.org/)
Haaretz

Dal punto di vista del diritto, i negoziati sul partizionamento della terra sono un pericolo esistenziale perché riconoscono ai Palestinesi la stessa uguaglianza dei diritti degli Ebrei su Eretz Israel.

I fatti devono essere riconosciuti: i capi dei partiti di destra hanno una visione strategica e una capacita’ di visione a lungo termine, e sanno anche come scegliere gli strumenti giusti per svolgere la loro missione.

La proposta di modifica della nuova legge sulla cittadinanza, che mira a fomentare uno stato di continua agitazione tra gli Ebrei e tutti gli altri, e’ solo un aspetto di un piano di vasta portata il cui portavoce ufficiale e’ il ministro degli esteri Avigdor Lieberman.

L'altro aspetto è la promessa del ministro degli Esteri alle nazioni del mondo che la nostra guerra contro i palestinesi è una guerra eterna. Israele ha bisogno di un nemico interno ed esterno, un senso costante di emergenza, - perche’ la pace, sia con i palestinesi nei territori o con i palestinesi in Israele, rischia di indebolirla al punto di pericolo esistenziale.

E infatti, la verita’, che include la maggior parte dei leader del Likud, è permeata dalla consapevolezza che la società israeliana vive in un costante pericolo di rottura dall'interno. Il virus democratico ed egualitario si abbatte il corpo politico dall'interno. Questo virus si basa sul principio universale dei diritti umani e alimenta un comune denominatore tra tutti gli esseri umani, perché sono esseri umani. E che cosa gli esseri umani hanno di piu’ in comune se non il diritto ad essere padroni del loro destino ed uguali tra loro?

Dal punto di vista della destra, e’ qui dove sta’ il problema: i Negoziati sul partizionamento della terra sono un pericolo esistenziale perché riconoscono ai Palestinesi la stessa uguaglianza dei diritti degli Ebrei, su Eretz Israel. Pertanto, al fine di preparare i cuori e le menti per il controllo esclusivo della popolazione ebraica del paese intero, è necessario aderire al principio che ciò che conta davvero nella vita degli esseri umani non è ciò che li unisce, ma piuttosto ciò che li separa . E cosa separa di piu’ la gente della storia e della religione?

Oltre a ciò, vi è una chiara gerarchia di valori. Siamo prima di tutto Ebrei, e solo se siamo certi che non ci sarà nessuno scontro tra la nostra identità tribale-religiosa e le esigenze del dominio ebraico, da un lato, e dei valori della democrazia, dall'altro, anche Israele puo’ essere democratico. Ma in ogni caso, sara’ sempre data preferenza al suo carattere ebraico. Questo fatto garantisce una lotta senza fine, perché gli arabi si rifiutano di accettare la sentenza di inferiorità che (il Ministro degli Esteri) Lieberman e il ministro della giustizia Yaakov Neeman intendono per loro.

Questo è il motivo per cui questi due ministri, con il tacito sostegno del primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno respinto la proposta che il giuramento di fedeltà dice essere "nello spirito della Dichiarazione di Indipendenza". Per come lo vedono, la Dichiarazione di Indipendenza, che promette l'uguaglianza per tutti, indipendentemente dalla religione e dall’origine nazionale, è un documento il cui vero scopo e’ distruttivo, e che in quel momento lo scopo reale era quello di calmare i non ebrei e di essere aiutati nella loro guerra di indipendenza. Oggi, in un Israele che è armato fino ai denti, solo i nemici del popolo vorrebbero dare uno status giuridico di una dichiarazione che in ogni caso pochi hanno mai preso sul serio.

Qui è dove la dimensione religiosa entra nell’immagine. Proprio come ha fatto tra i conservatori rivoluzionari del 20 ° secolo ed i nazionalisti neoconservatori dei nostri giorni, la religione gioca un ruolo decisivo nel cristallizzare la solidarietà nazionale e preservare la forza della società.

La religione è percepita, naturalmente, come un sistema di controllo sociale senza contenuto metafisico. Pertanto, le persone che odiano la religione e il suo contenuto morale possono essere al fianco di gente come Neeman, che spera un giorno di imporre la legge rabbinica su Israele. Dal loro punto di vista, il ruolo della religione è quello di imporre l'unicità ebraica e spingere i principi universalioltre il limite di esistenza nazionale.

In questo modo, la discriminazione e la disuguaglianza etnica e religiosa e’diventata la norma qui, e il processo di delegittimazione di Israele si è innalzato. E tutto questo è opera di mani ebraiche.

Titolo originale: "Israel's Right Needs Perpetual War"

Fonte: http://www.haaretz.com
Link
15.10.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di JACKALOPE


La stratégie américaine pour influencer les minorités en France

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La stratégie américaine pour influencer les minorités en France

Confirmation du diagnostic

Ex: http://www.polemia.com/

 

Wikileaks a permis de lever le voile sur ce qui était déjà une évidence : les Américains sont clairement engagés dans une stratégie d’influence de vaste ampleur vis-à-vis des minorités en France. Pour les lecteurs de ce blog, et notamment de l’article du 16 septembre dernier (« Les banlieues françaises, cibles de l’influence culturelle américaine »), il ne s’agit pas là d’une découverte mais d’une confirmation : oui, il y a une claire et nette entreprise de manipulation des minorités en France par les Américains. Les opérations mises en œuvre sont scrupuleusement planifiées, suivies et évaluées.

Tel est le constat auquel on parvient à la lecture du rapport de l’actuel ambassadeur des Etats-Unis en France, Charles Rivkin, envoyé le 19 janvier 2010 au Secrétariat d’Etat américain, sous le titre : EMBASSY PARIS – MINORITY ENGAGEMENT STRATEGY (Ambassade de Paris – Stratégie d’engagement envers les minorités). Je vous propose donc une sélection et une traduction d’extraits de ce rapport.

Voici le plan de ce rapport dont le vocabulaire offensif ne laisse pas de doute sur l’ambition des actions initiées :

a. Résumé
b. Arrière-plan : la crise de la représentation en France
c. Un stratégie pour la France : nos objectifs
d. Tactique 1 : S’engager dans un discours positif
e. Tactique 2 : Mettre en avant un exemple fort
f. Tactique 3 : Lancer un programme agressif de mobilisation de la jeunesse
g. Tactique 4 : Encourager les voix modérées
h. Tactique 5 : Diffuser les meilleures pratiques
i. Tactique 6 : Approfondir notre compréhension du problème
j. Tactique 7 : Intégrer, cibler et évaluer nos efforts.

Lire la suite de l’article, en pdf, à l’adresse suivante :
http://www.polemia.com/pdf_v2/RapportRivkin.pdf

Benjamin PELLETIER
04/12/2010
http://gestion-des-risques-interculturels.com/risques/la-...
L’article original comporte le texte anglais des citations.

Voir : Vol A 93120 : Washington-La Courneuve
http://www.polemia.com/article.php?id=2820

Correspondance Polémia 09/12/2010

lundi, 13 décembre 2010

Brave New War - Forever

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Brave New War

Forever

 

As the young Napoleon Bonaparte ventured into Egypt in 1798, his aspiration to world-transforming power was already apparent. In the shadow of the pyramids, the future Emperor and his men made short work of the antiquated Mamluk cavalry that had once repulsed the Mongol Horde. He would later relate his grand vision:

I was full of dreams…I saw myself founding a new religion, marching into Asia riding an elephant, a turban on my head, and in my hand the new Koran.

While Napoleon’s desire to recast the East in his own image is understandable in the context of his megalomania, Western ruling classes have no such alibi for entertaining similar delusions. Their technocratic language is much less inspiring than that offered by Le Petit Caporal, mired as it is in the blandest incantations of “development”, “good governance” and “civil society”, but the same carnage results. Our policy establishment sends men to die in far-off mountains and deserts so that Muslims may discover the New Koran of liberty, equality and progress. In Europe and the United States its dictates are already enforced to the letter.

Since the time of Bonaparte, armed proselytism of the new religion has received an upgrade. Grenadiers and dragoons have given way to special operators, precision-guided munitions and killer drones, all in the service of a united humanity marching toward a bright new tomorrow. For confirmation of such deadly flights into fantasy, one can read a recent article on the UK’s new Chief of the Defense Staff, General Sir David Richards. Britain’s top strategist seems quite committed to imposing the Open Society upon various benighted tribes in the wilder corners of our world. He acts at the behest of his political masters, of course, but is resolute about the need to occupy Afghanistan for another 30 or 40 years. As Richards articulates:

The national security of the UK and our allies is, in my judgment, at stake – that is why we are engaged in a global struggle against a pernicious form of ideologically distorted form of Islamic fundamentalism.

Why must NATO maintain indefinite deployments of forces in the Hindu Kush, the Horn of Africa and elsewhere, fighting against this ‘pernicious form of ideologically distorted form of Islamic fundamentalism’? The reason behind the interminable Long War goes beyond maneuvers to secure control over Eurasia and its energy corridors. The contemporary West is engaged in a global counterinsurgency campaign as a final, desperate effort to affirm the permanence of the liberal order, to prove that history has indeed come to an end. Yet no more than savage bands of Pashtun mountain men have exploded that myth, as well as its pretensions to universal validity.

As long as the elites retain a level of material power, though, they will be unrepentant and undeterred in their redemptive materialism. There may be disagreements among them on Western courses of action in the Muslim world, though never on the necessity of the latter’s evolution toward secular democracy. In this the modern is as devoted to his doctrines as the Mohammedan. Phenomena essential to Islam’s origins and nature (such as jihad) are just a big misunderstanding, you see; changing the Ummah’s cultural and historical norms only requires the right calibration of social engineering policies:

Education, prosperity, understanding and democracy, he argues passionately, are the weapons that would ultimately turn people away from terrorism, although he admitted that to believe that such an undertaking could be achieved "within the time frame of the Second World War would be naive in the extreme".

It would be naive in the extreme to imagine that NATO will succeed where other empires failed catastrophically. General Richards may argue passionately for further international police action and welfare programs, but such measures are the last, dying gasp of Enlightenment rationalism applied to its logical end-point. Of still greater concern must be the destruction wrought by these ideas in our own lands, for enlightening the Muslim nations is only half of the equation. In a striking echo of Anglo-American designs on the ruins of the Old Order after the Great War, the Long War’s crowning achievement would be to eradicate the very last vestiges of European Christendom. Thus is the world made safe for democracy.

Salvation through government by “The People”, in turn composed of atomized market units, is the message of a false faith. To drive home the absurdity of this proposition, The American People today amuse themselves with celebrity escapades and video games as the predators of high finance and Empire carry on their machinations to the tune of nearly $14 trillion in national debt. And while geopolitical and economic conflicts define the character of Western interventions and Muslim terrorism, the bloodshed and chaos we witness ultimately derive from a crisis of the spirit.

Whether or not weary and passionless moderns are inclined to admit so, the current war is a religious one and centers upon Europe, the heart of the West. At the end of the 19th century, the great Russian philosopher Vladimir Soloviev compared the development of the two most powerful threats to Christendom, heresies both born in some measure from perversions of Christian teaching. On the frontiers of the Eastern Roman Empire arose Islam, collective submission to the divine will of an inhuman despot. In the Occident humanism would eventually prevail- the integrity of the individual superseded every higher reality and led to man’s self-worship. Despite their radical incompatibilities, the adherents of the New Koran and the old both seek to wipe out the memory, specifically the European memory, of Christ the God-Man who in noblest sacrifice conquered death.

With traditional Europe long ago overpowered by the Revolution, the counterfeit prophecies of humanism and Islam now move into active confrontation. From the clash emerges a strange dialectic. As the West sets out to modernize Dar-al-Islam, democratic universalism has produced the conditions for its own societies’ Islamization. Whereas our ancestors fought heroically to prevent the Continent’s subjugation by Moors and Turks, today our governments, champions of “human rights” all, throw the gates wide open to millions of them and enable the rise of Muslim power in places where Ottoman sultans could barely have dreamed of invading.

How much longer must Pakistani rape-gangs roam Britain? And how many more Britons will meet an early death fighting in Afghanistan to uphold this state of affairs? Answering on behalf of transatlantic elites, General Richards was remarkably frank: the occupation of Afghanistan and other expeditions will continue effectively forever. Never can multiculturalism, mass immigration, and secular pluralism be questioned under the regnant ideology that made the present nightmare even possible.

In its advanced stages of development, the liberal project reveals a totalitarian nature. Postmodern imperialism lays claim not simply to mere territories and resources; it asserts itself as the sole arbiter of humanity’s future and fate. The managerial regime will attend to organizing its vision of happiness on earth. In return, and as a gesture of gratitude, you need only relinquish a few minor things: the cultural and blood-inheritance bequeathed to you by your fathers, your faith, and the destiny of your nation.

You, children of Europe, are but ethnographic material to be indoctrinated, demoralized, exploited and dissolved in a new enterprise more magnificent and equitable than anything ever conceived by your invisible, forgotten God. Besides, relax; you’re all consumers now! Enjoy a football game and some pornography, or just go shopping for life’s meaning.

Or you can revolt. For the sake of true justice, such an act would necessitate solidarity not only with our unborn descendants, but also with our dead- the generations past who made Europa uniquely beautiful even amidst the fratricide of a fallen world. Love and honor carry zero market value; of what use are valor and charity against the coercive mechanisms of Leviathan? Yet these principles transcend earthly power, for they reach back into eternity itself. It is in the dark hours of spiritual struggle, not in self-compromising electoral success, that liberalism will finally be shattered. On that day let us raise skyward the banner of the once and future West.

Mark Hackard

Mark Hackard

Mark Hackard has a a BA in Russian from Georgetown University and an MA in Russian, East European, and Eurasian Studies from Stanford University.

Turkije wil Europa islamiseren via lidmaatschap EU

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Ex: http://xandernieuws.punt.nl/?id=613934&r=1

 WikiLeaks (8):

Turkije wil Europa islamiseren via lidmaatschap EU

'Wraak op Europa vanwege nederlaag bij Wenen'

Erdogan woedend vanwege onthulling 8 geheime bankrekeningen in Zwitserland

Tayyip Erdogan: 'De moskeeën zijn onze kazernes, de koepels onze helmen, de
minaretten onze bayonetten en de moslims onze soldaten.'

Uit diverse door WikiLeaks gelekte documenten blijkt dat binnen de heersende
AK Partij van de Turkse premier Erdogan de wijdverspreide opvatting heerst
dat het de opdracht is van Turkije om Europa te islamiseren en om 'Andalusië
(Zuid Spanje) te heroveren en de nederlaag bij Wenen in 1683 te wreken.' De
verspreiding van de islam in Europa is volgens de belangrijkste denktank van
de AKP het werkelijke hoofddoel van het beoogde Turkse lidmaatschap van de
EU. (1)

Binnen de AKP zijn er echter ook stemmen die bang zijn dat het lidmaatschap
van de EU zal leiden tot een 'verwaterde' versie van de islam en de daarbij
behorende Turkse tradities. 'Als de EU 'ja' zegt (tegen het Turkse
lidmaatschap) zal alles er een korte tijd rooskleurig uitzien. Maar dan
ontstaan de echte moeilijkheden voor de AKP. Als de EU 'nee' zegt dan zal
dat aanvankelijk lastig zijn, maar op de lange termijn veel gemakkelijker,'
als AKP prominent Sadullah Ergin.

Erdogan wordt omschreven als een machtswellusteling die iedereen wantrouwt
en streeft naar totale alleenheerschappij. 'Tayyip (Erdogan) gelooft in
God... maar vertrouwt hem niet,' zou zijn vrouw Emine het treffend hebben
uitgedrukt. Erdogan stelt zich in het openbaar weliswaar pragmaitisch en
'gematigd' op, maar heeft wel degelijk een islamistische achtergrond. Als
burgemeester van Istanbul noemde hij zichzelf in 1994 de 'imam van Istanbul'
en een 'dienstknecht van de Sharia.' (2) In 1998 verbleef hij zelfs vier
maanden in de gevangenis vanwege het voordragen van een extremistisch
islamitisch gedicht dat sprak van de verovering van alle niet-moslimlanden
door de islam: 'De moskeeën zijn onze kazernes, de koepels onze helmen, de
minaretten onze bayonetten en de moslims onze soldaten...' (3)

De Turkse premier reageerde woedend toen uit een WikiLeaks document uit 2004
naar voren kwam dat hij maar liefst acht geheime bankrekeningen in
Zwitserland heeft waar hij regelmatig grote sommen geld naar wegsluist (4).
Vanzelfsprekend ontkende Erdogan alle aantijgingen, noemde hij de documenten
'geroddel' en dreigde hij om gerechtelijke stappen tegen de onthullers te
nemen. Verder omschrijven Amerikaanse diplomaten Erdogan als iemand die
Israël haat en zich omringt met gluiperige adviseurs. Ook zou hij enkel en
alleen islamistische kranten lezen. Tevens wordt zijn minister van
Buitenlandse Zaken Ahmet Davutoglu omschreven als 'extreem gevaarlijk'.

Recent schreven we al dat uit eerdere gelekte documenten blijkt dat Turkije
zowel indirect als actief het moslimterrorisme in Irak (en tevens
Afghanistan) steunt met wapens en geld. De verwijzing binnen de AKP naar
Andalusië en de Ottomaanse nederlaag bij Wenen in 1683 is geheel volgens het
islamitische principe dat landen en streken die ooit onder moslim controle
stonden voor altijd islamitisch grondgebied blijven en verplicht moeten
worden heroverd. Alle Nederlandse politieke partijen -met uitzondering van
de PVV en de SGP- besloten onlangs om de Turkse doelstelling om Europa en
dus ook Nederland te islamiseren niet tegen te gaan.

(1) Statelogs http://statelogs.owni.fr/index.php/memo/2010/11/30/225/
(2) Statelogs http://statelogs.owni.fr/index.php/memo/2007/03/21/ANKARA...
(3) Atlas Shrugs
http://atlasshrugs2000.typepad.com/atlas_shrugs/2009/10/s...
n-of-europe-rally-december-13th-spread-the-word-save-the-world.html
(4) Ynet News http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3992628,00.html

http://xandernieuws.punt.nl/?id=612882&r=1&tbl_ar...

WikiLeaks (3):

Vooral Saudi's willen aanval op Iran; Turkije onbetrouwbaar

Erdogan omringt zich met 'parasitaire bedriegers' - Veel Arabische landen
zien Iran als 'existentiële bedreiging' - Geen schokkende onthullingen over
Israël

WikiLeaks 'Shocker'(?): Het enige continent waar Barack Obama nog populair
is, Europa, laat de Amerikaanse president nu juist volkomen koud.

Uit de ruim 250.000 geheime documenten die WikiLeaks op internet heeft gezet
blijkt dat vooral Saudi Arabië -nog meer zelfs dan Israël- herhaaldelijk
aandringt op een Amerikaanse militaire aanval op Iran, en dat het hoofd van
de gevreesde Israëlische geheime dienst Mossad, Meir Dagan, hier juist op
tegen is en meer ziet in strenge sancties en undercover operaties om het
regime Ahmadinejad -die onder diplomaten de bijnaam 'Hitler' heeft gekregen-
omver te werpen.

De Saudische koning Abdullah heeft de laatste jaren regelmatig van de VS
geëist Iran aan te vallen. In 2008 kreeg de Amerikaanse generaal David
Petraeus van de afgevaardigde van Abdullah in Washington te horen dat
Amerika 'het hoofd van de slang moet afhakken'. De Saudi's vrezen een Iran
met kernwapens misschien wel nog meer als Israël, waar minister van Defensie
Barak weliswaar regelmatig eveneens pleitte voor militair ingrijpen (4),
maar het machtige hoofd van de Mossad, Meir Dagan, hier juist heel
pessimistisch over was en zich wilde concentreren op het omverwerpen van het
huidige Iraanse regime door middel van sancties en geheime operaties.

Naast Saudi Arabië hebben ook officials uit Jordanië en Bahrain Amerika
openlijk opgeroepen om desnoods met militaire middelen een einde te maken
aan het Iraanse nucleaire programma. Ook de leiders van de Verenigde
Arabische Emiraten en Egypte zien Iran als 'het kwaad' en een 'existentiële
bedreiging', die 'ons in een oorlog zal doen storten'. Israëlische officials
zeggen al jaren dat wat de Arabische leiders publiekelijk meedelen iets heel
anders is dan wat ze een privé gesprekken zeggen.

Turkije onbetrouwbaar
Gisteren meldden we al dat de Arabische krant Al-Hayat schreef dat uit de
WikiLeaks publicaties blijkt dat Turkije door middel van het smokkelen van
wapens en geld steun geeft aan de moslimterroristen in Irak en zelfs
betrokken is bij het opblazen van een brug in de hoofdstad Baghdad.

Volgens het Duitse blad Der Spiegel, één van de internationale media die
vooraf inzage kreeg in de geheime documenten, karakteriseren Amerikaanse
diplomaten Turkije dan ook als onbetrouwbaar. De Turkse premier Erdogan zou
weinig begrijpen van de politiek buiten Ankara en het Turkse leiderschap is
verdeeld door de infiltratie van radicale islamisten. 'Erdogan heeft zich
omringd met een ijzering kring van sycofante (sycofant = gemene bedrieger,
beroepsverklikker, parasiet) (maar minachtende) adviseurs,' aldus een gelekt
diplomatiek bericht.

Geen schokkende onthullingen over Israël
Waar veel Israëlhaters vanzelfsprekend op hoopten, namelijk dat de Joodse
staat in de gelekte documenten bevestigd zou worden als de boeman en de
grote instigator van het kwaad in de wereld, is totaal niet uitgekomen,
precies zoals de Israëlische premier Netanyahu al voorspeld had. Er is zelfs
nauwelijks iets noemenswaardigs te vermelden, behalve dat hoge Israëlische
officials regelmatig hun grote zorg uitspreken over Iran en zeggen dat
Israël het zich niet kan veroorloven zich te laten verrassen.

Over Iran gesproken: tijdens de tweede Libanonoorlog in 2006 smokkelde het
regime Ahmadinejad onder de vlag van de Iraanse Rode Maansikkel (de
Arabische variant van het Rode Kruis) wapens en geheime agenten naar
Libanon. Dit zou blijken uit een bericht uit Dubai dat gebaseerd is op een
ontmoeting in 2008 tussen een Amerikaanse diplomaat en een niet bij name
genoemde bron.

Ander interessante onthullingen
- Donors uit Saudi Arabië blijven de belangrijkste financiers van het (Al
Qaeda) Soennitische moslimterrorisme. Het Arabische Golfstaatje Qatar blijkt
het slechtst mee te werken met anti-terreuroperaties.

- Een bijna conflict tussen de VS en Pakistan over mislukte Amerikaanse
pogingen om Pakistaans verrijkt uranium veilig te stellen voor terroristen.

- Zuid Koreaanse en Amerikaanse diplomaten speculeren over de vereniging van
de beide Korea's na het eventuele instorten van Noord Korea. China, dat hier
mordicus op tegen is, zou moeten worden overgehaald met aantrekkelijke
handelsovereenkomsten.

- Amerikaanse diplomaten deden aan handjeklap om andere landen te overtuigen
gevangenen van Guantanomo Bay over te nemen. Slovenïe kreeg te horen dat
Obama alleen (officials van) het land wilde ontmoeten als ze een gevangene
zouden overnemen. Het onafhankelijke eiland Kiribati kreeg miljoenen dollars
aangeboden voor een hele groep gedetineerden, en België kreeg te horen dat
het een goedkope manier was om een prominente plaats in Europa te verwerven.

- De Afghaanse regering wordt verdacht van corruptie. De autoriteiten van de
Verenigde Arabische Emiraten ontdekten dat de op bezoek zijnde Afghaanse
vice-president $ 52 miljoen bij zich had, van onbekende herkomst en met
onbekende bestemming. Besloten werd om het maar zo te laten. Natuurlijk
ontkent Massoud alles.

- Zoals velen al vermoedden blijkt het Chinese Politburo inderdaad achter
het blokkeren van Google in dat land te zitten. Tevens heeft de Chinese
overheid zowel eigen medewerkers als experts van buitenaf en onafhankelijke
hackers ingezet om in te breken in de de computersystemen van de Amerikaanse
overheid en andere Westerse landen. Ook de Dalai Lama en het Amerikaanse
bedrijfsleven zijn sinds 2002 het doelwit.

- Een bizarre alliantie: Amerikaanse diplomaten beschrijven de 'buitengewoon
nauwe' relatie tussen de Russische premier Vladimir Putin en de Italiaanse
premier Silvio Berlusconi -liefhebber van 'wilde feesten'-, inclusief
lucratieve energiecontracten en overdadige cadeaus. Berlusconi zou in
toenemende mate de spreekbuis van Putin in Europa aan het worden zijn.

- Over Putin zelf: alhoewel hij inderdaad met afstand de machtigste man van
Rusland is, wordt hij in toenemende mate ondermijnd door een onhandelbaar
bureaucratisch systeem dat zijn bevelen vaak negeert. Putin wordt door
diplomaten omschreven als een 'alpha mannetje'. Andere aardige bijnamen voor
wereldleiders: Angela 'Teflon' Merkel (overigens gekarakteriseerd als iemand
die geen besluiten durft te nemen), 'keizer zonder kleren' Nicolas Sarkozy
en 'lichtgewicht' David Cameron (3). De Noord Koreaanse leider Kim Jong il
zou lijden aan epilepsie en de Libische leider Muammar Gaddaffi zou zich 24
uur per dag laten verzorgen door een 'hete blonde' verpleegkundige.

- Als laatste: ontnuchterend nieuws voor de vele Obama liefhebbers in
Europa, het enige continent waar de meerderheid nog blij met hem lijkt te
zijn: volgens het Amerikaanse ministerie van Buitenlandse Zaken heeft Obama
helemaal niets met Europa en kijkt hij veel liever naar het Oosten dan naar
het Westen. Amerika ziet de wereld als een conflict tussen twee
supermachten, waar de Europese Unie slechts een bijrolletje in speelt.
 
(1) Jerusalem Post http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=197130

(2) Arutz 7 http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/140882
(3) DEBKA http://www.debka.com/article/20402/
(4) DEBKA http://www.debka.com/article/20404/

http://xandernieuws.punt.nl/?id=612703&r=1&tbl_ar...

WikiLeaks:

Turkije steunt moslimterroristen Irak

In 2007 werd de belangrijke Sarafiya brug in Baghdad door terroristen
opgeblazen. Turkije blijkt nu direkt betrokken bij het opblazen van
tenminste één brug in de Iraakse hoofdstad.

De ontmaskering van Turkije als anti-Westerse extremistische moslimstaat
krijgt een extra ontluisterende dimensie nu uit de nieuwe documenten die
WikiLeaks zal publiceren blijkt dat de Turken zorgden dat er wapens naar Al
Qaeda in Irak werden gesmokkeld en dat ze zelfs zowel direkt als indirekt
betrokken zijn geweest bij terreuraanslagen in Baghdad.

Volgens de Arabische krant Al-Hayat bewijzen de geheime officiële documenten
dat de Turkse autoriteiten toestemming gaven voor de smokkel van wapens en
geld naar de Al Qaeda terroristen in Irak. Ook laten de documenten zien dat
Turkije betrokken was bij onder andere het opblazen van een brug in Baghdad
en werd er in 2009 bij terroristen munitie in beslag genomen dat gemarkeerd
was met 'made in Turkey'.

Eén van de documenten die door Al Hayat worden genoemd bevat een gecodeerd
bericht dat zo te zien door een Amerikaanse inlichtingendienst werd
verzonden. De tekst 'Uit Turkije zijn grote hoeveelheden water aangekomen.
Over een paar uur zullen grote golven Baghdad treffen. Sommige mensen zijn
de irrigatiekanalen aan het verbreden' lijkt te wijzen op het arriveren van
wapens uit Turkije, bedoeld voor aanslagen en andere terreuracties in
Baghdad.

De VS probeert in het licht van de komende nieuwe WikiLeaks publicaties de
diplomatieke schade te beperken.'Deze onthullingen brengen de VS en onze
belangen schade toe. Ze zullen over de hele wereld spanning creëren in de
relaties tussen onze diplomaten en onze vrienden... Als het vertrouwen (van
andere overheden) beschadigd wordt en op de voorpagina van de kranten of in
het nieuws van radio en tv belandt, heeft dat een impact,' aldus P.J.
Crowley, woordvoerder van het Amerikaanse minister van Buitenlandse Zaken.

Het is echter maar de vraag of Amerika en Europa aandacht zullen durven
besteden aan de Turkse steun voor de moslimterroristen in Irak. Hierdoor zou
immers de conclusie moeten worden getrokken dat Turkije geen betrouwbare
bondgenoot is, dubbelspel speelt en de recente aansluiting van Turkije bij
het extremistische islamitische blok Iran-Syrië-Hezbollah-Hamas daarom
bloedserieus is en een direct gevaar oplevert voor de NAVO en het Westen.
Ook moet dan definitief worden toegegeven dat de Turken absoluut niet bij de
Europese Unie horen. (1)

(1) Arutz 7  http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/140843

dimanche, 12 décembre 2010

Geopolitische Hintergründe der NATO Intervention im Kosovo

Archives - 2000

 GEOPOLITISCHE HINTERGRÜNDE

DER NATO INTERVENTION IM KOSOVO

Serge TRIFKOVIC

 Ex: http://trifkovic.mystite.com/

Aussage vor dem  ständigen Komitee für auswärtige Angelegenheiten und internationalen Handel im kanadische Unterhaus, Ottawa, 17. Februar 2000

corridor8.gifDer Krieg der Nato gegen Jugoslawien im Jahre 1999 markiert einen deutlichen Wendepunkt, nicht nur für Amerika und die NATO sondern auch für den  gesamten Westen. Das Prinzip der nationalen Souveränität und sogar das Prinzip der Rechtstaatlichkeit wurde Namens einer angeblichen humanitären Ideologie untergraben. Tatsachen verdrehte man zu Erfindungen und sogar diese Erfindungen, die ausgegeben wurden um die eigene Handlungsweise zu rechtfertigen, erheben keinen Anspruch auf Glaubwürdigkeit mehr.

 

Traditionelle Systeme für den Schutz nationaler Freiheiten auf politischer, rechtlicher und wirtschaftlicher Ebene sind jetzt in Instrumente für deren Zerstörung umgewandelt worden. Aber weit entfernt davon, dass die westlichen Regierungseliten mit ihrem rücksichtslosen Durchsetzen der Ideologie einer multiethnischen Gesellschaft und internationalen Menschenrechten ihre Vitalität zeigen, könnte ihr Engreifen im Balkan möglicherweise der verstörende Ausdruck des kulturellen und moralischen Zerfalls eben dieser herrschenden Eliten sein. Ich werde darum meine Anmerkungen den Folgen des Krieges widmen, in Hinblick auf das sich bildende neue internationale System und die letztendliche Auswirkung auf die Sicherheit und Stabilität selbst der westlichen Welt.

 

Fast ein Jahrzehnt trennte Wüsten-Sturm von der Bombardierung aus humanitären Gründen. 1991 war der Vertrag von Maastricht unterzeichnet, und mit der Verlauf des restlichen Jahrzehnts hat die stückweise Usurpierung der traditionellen europäischen Souveränität durch ein Regime von kontrollierenden Körperschaften in Brüssel und nicht gewählten Beamten platzgegriffen, die sich mittlerweile dreist genug fühlen Osterreich vorschreiben zu können, wie es seine eigenen Angelegenheiten zu führen hätte. Auf dieser Seite des Ozeans (der Autor spricht in Ottawa. d. Übers.) Gab es die Einsetzung der NAFTA und 1995 brachte die Uruguay-Runde des GATT  die WTO. Die neunziger Jahre waren somit ein Jahrzehnt in dem nach und nach die neue internationale Ordnung begründet wurde. Das Anschwärzen nationaler Souveränität hypnotisierte die Öffentlichkeit derart, dass sie dem Prozess der Demontage gerade der Institutionen applaudierten, die noch alleiniger Ausdruck der Hoffnung auf Volksvertretung waren. Der Prozess ist soweit fortgeschritten, dass Präsident Clinton behaupten kann (in: Ein gerechter und notwendiger Krieg, New York Times, 23. Mai 1999): Hätte die NATO Serbien nicht bombardiert, wäre sie selbst in Hinblick auf gerade die Werte, für die sie selbst steht, unglaubwürdig geworden.

 

Tatsächlich aber war der Krieg sowohl unrecht als auch unnötig. Aber das bemerkenswerte an Clintons Aussage lag darin, dass er vor aller Öffentlichkeit das internationale System, das seit dem Westfälischen Frieden (1648) besteht, für null und nichtig erklärt hat. Es war zwar ein unvollkommenes System, dass oftmals gebrochen wurde, es  stellte aber die Grundlage für internationale Verständigung dar, an die sich lediglich einge wenige rote und schwarze Totalitaristen offenkundig nicht gehalten haben. Seit dem 24. März 1999 wird es mit der sich immer deutlicher abzeichnenden Clinton Doktrin ersetzt, die eine Blaupause der Breschnev Doktrin der eingeschränkten Souveränität darstellt und die seinerzeit die sowjetische Invasion in der Tschechoslowakei 1968 rechtfertigte. Wie sein sowjetischer Vorgänger gebrauchte Clinton eine abstrakte und weltanschaulich befrachtete Vorstellung - die der universellen Menschenrechte- als Vorwand für die Verletzung des Rechts und der Tradition. Die Clinton Doktrin hat ihre Wurzeln in der beiden Parteien eigenen Hybris der Washingoner aussenpolitischen "Elite", der ihr eigens Gebräu von ihrer Rolle als "letzter und alleiniger Supermacht" zu Kopf gestiegen ist. Rechtliche Formalitäten sind passé und moralische Vorstellungen - die in internationalen Angelegenheiten niemals sakrosankt sind - werden durch einen zynischen Gebrauch einer situationsgebundenen Moral ersetzt, je nach Lage der im Bezugsystem der Supermacht handelnden.

 

Nun ist also wieder imperiales Grossmachtdenken zurückgekehrt, aber in neuer Form. Alte Religion, Fahnen und nationale Rivalitäten spielen keine Rolle. Aber das starke Verlangen nach Aufregung [exitement] und Wichtigkeit, das die Briten bis nach Peking, Kabul und Khartum, die Franzosen nach Faschoda (s. Fussnote#1 d. Übers.)  und Saigon, die Amerikaner nach Manila trieb ist jetzt wieder aufgetaucht. Das Resultat war, dass ein unabhängiges Land mit einem Krieg überzogen wurde, weil es sich weigerte, fremde Truppen auf seinem Boden zuzulassen. Alle anderen Rechtfertigungen sind nachträgliche Rationalisierungen. Die Mächte, die diesen Krieg geführt haben, haben es begünstigt und dazu aufgehetzt, dass eine ethnische Minderheit die Loslösung betreiben konnte, eine Loslösung, die, wenn sie einmal formal vollzogen ist, manch eine europäische Grenze in Frage stellen wird. In Hinblick auf jede andere europäische Nation würde diese Geschichte surreal klingen. Die Serben wurden jedoch so weitgehend dämonisiert, dass sie nicht mehr davon ausgehen können, dass man sie so wie andere behandelt.

 

Doch die Tatsache dass der Westen mit den Serben machen kann, was er will, erklärt noch nicht, warum er das tun soll. Es ist kaum Wert, dass man es widerlegt, und dennoch: Die fadenscheinigen Ausreden für eine Intervention. Humanitäre Gründe wurden angeführt. Aber was ist mit Kaschmir, Sudan, Uganda, Angola, Sierra Leone, Sri Lanka, Algerien? Feinsäuberlich auf Video aufgenommen und amanpourisiert [s. Fussnote#2 d. Übers.], jedes hätte zwölf Kosovos leicht aufgewogen. Natürlich gab es keinen Völkermord. Verglichen mit den Schlachtfeldern der Dritten Welt war das Kosovo ein unbedeutender Konflikt auf niedriger Ebene, etwas schmutziger vielleicht als in Nordirland vor einem Jahrzehnt, aber weit geringer als Kurdistan. Bis Juni 1999 gab es 2108 Opfer auf allen Seiten im Kosovo, in einer Provinz von über 2 Millionen Menschen. Es schneidet selbst im Vergleich zu Washington D. C. (Bevölkerung: 600 000) mit seinen 450 Selbstmorden besser ab. Leichen zählen ist unanständig, aber wenn man die Brutalität und ethnischen Säuberungen bedenkt, die von der NATO ignoriert oder, wie die 1995 in Kroatien oder die in der Osttürkei, sogar geduldet wurden, dann wird deutlich, dass es im Kosovo nicht um universale Prinzipien ging. In Washington gilt Abdullah Ocalan als Terrorist, aber die UCK sind Freiheitskämpfer.

 

Worum ging es dann? Die Stabilität der Region, wurde als nächstes behauptet. Wenn wir den Konflikt jetzt nicht stoppen, greift er auf Mazedonien, Griechenland, die Türkei und praktisch den ganzen Balkan über. Gefolgt von einem  grossen Teil Eurpopas. Aber die Kur - Serbian solange bombardieren bis ein ethisch reines albanisches Kosovo unter den wohlwollenden Augen der NATO an die albanische UCK Drogen-Maffia übergeht - wird eine Kettenreaktion in der exkommunstischen Hälfte Europa auslösen.

 

Sein erstes Opfer wird die frühere jugoslawische Republik Mazedonien sein, in der die widerspenstige albanische Minderheit ein Drittel der Gesamtbevölkerung ausmacht. Wird denn das Modell Pristina nicht auch von den Ungarn in Rumänien, (die dort zahlreicher sind als Albaner im Kosovo), und in der Südslowakei gefordert werden? Was soll die Russen in der Ukraine, in Moldavien, in Lettland und im Norden Kasachstan davon abhalten sich dem anzuschliessen? Oder die Serben und Kroaten im chronisch instabilen Dayton - Bosnien? Und wenn schliesslich, die Albaner auf Grund ihrer Anzahl ihre  Trennung bekommen, trifft dass selbe dann auch auf die Latinos in Südkalifornien oder Texas zu, sobald die ihre angelsächsischen Nachbarn zahlenmässig überwiegen und eine zweisprachige Staatlichkeit verlangen könnten die zu einer Wiedervereinigung mit Mexiko führen würde? Sollen Russland und China die Vereinigten Staaten mit Bombardierung drohen, wenn es nicht einlenkt?

 

Das was jetzt im Kosovo herausgekommen ist, stellt ein äusserst unvollkommenes Modell einer neuen Balkanordnung dar, das die Ambitionen aller ethnischen Gruppen des früheren Jugoslawiens, mit Ausnahme der Serben, zu befriedigen sucht. Das ist für alle Betroffenen eine zerstörerische Strategie. Auch wenn man sie jetzt mit Gewalt zum Gehorsam gezwungen hat, sollen die Serben bei der entstehenden künftigen Ordnung der Dinge nichts einzusetzen haben. Früher oder später werden sie darum kämpfen, den Kosovo zurück zugewinnen. Der Frieden von Karthago, den man heute Serbien auferlegt, wird für künftige Jahrzehnte zu chronischer Instabilität und Streit führen. Er wird den Westen auf dem Balkan in einen Morast verstricken und, sobald Mr. Clintons Nachfolger kein Interesse mehr daran haben, für die auf üblem Wege gewonnenen Erwerbungen ihrer Balkanverbündeten gerade zu stehen, garantiert einen neuen Krieg geben.

 

Die NATO hat jetzt gewonnen, aber der Westen hat verloren. Der Krieg hat genau die Prinzipien unterminiert, die den Westen ausmachen, nämlich, die Herrschaft des Rechts. Der Anspruch auf Menschenrechte kann weder für die Herrschaft des Rechts noch der Moral jemals die Grundlage bilden. Universelle Menschenrechte, die von ihrer Verwurzelung im jeweiligen Ort und der Zeit losgelöst sind, öffnen jedem Hauch einer Empörung und jeder Laune des Augenblicks darüber, wer gerade ein Opfer darstellt, den Weg. Die fehlgeleitete Bemühung, die NATO von einer Verteidigungs-gemeinschafft in eine Mini-U.N. zu verwandeln, mit selbstverfassten Verantworlichkeiten über das Gebiet seiner Vertragspartner hinaus, ist ein sicherer Weg zu weiteren Bosniens und Kosovos. Jetzt, da die Clintonistas und die NATO im Kosovo erfolgreich waren, können wir mit weiteren neuen und noch gefährlicheren Abenteuern anderswo rechnen. Aber beim nächsten Mal werden die Russen , die Chinesen, Inder und andere schlauer sein und uns nicht mehr die Sprüche über Freie Märkte und demokratische Menschenrechte abkaufen. Die Zukunft des Westens wäre in einem dann womöglich unvermeidlichen Konflikt unsicher.

 

Kanada sollte die Folgen eines solchen Kurses gut bedenken und um seinetwillen und den Frieden und die Stabilität der ganzen Welt seinen Mut zusammentun und Nein zum weltweiten Eingreifen sagen. Muss es wirklich in widerspruchsloser Unterwerfung zusehen, wie ein langdauerndes gefährliches militärisches Experiment gestartet wird, dass uns in einen wirklichen Krieg um Zentralasien hineinzieht? Soll es demnächst neue UCKs entlang Russlands islamischen Rand gegen "Völkermord" "verteidigen", darunter ethnische Gruppen deren Namen heute noch keine westliche Presse kennt und die eine Reihe guter Begründungen für eine Intervention hergeben könnten, gut genug, soll heissen so schlecht wie die der Kosovo-Albaner.

 

War Kanadas Geschichte als Teil des englischen Weltreiches so süss, dass es ein Herrschaftszentrum in Washington braucht, als Ersatz für das verlorene London? Fühlt sich Kanada bei der Wahrheit, die sich heute langsam herausschält, wohl, dass es über Krieg und Frieden weniger die Wahl hat, als in der Zeit, als es ein freies Dominion unter dem alten Statut von Westminster war? Denn ganz ohne Zweifel kann derKrieg, den die NATO im April und Mai 1999 geführt hat von etwas, das "die Allianz" genannt werden kann, weder beabsichtigt noch gewollt worden sein, wenn 1998 innerhalb des Ringes (der oberen Kommandoebene d. Übers.) der Einsatz von Gewalt ausgeheckt worden war.

 

Wert zu fragen wäre auch, wie diese Zurückstufung Kanadas und anderen NATO-Mitglieder auf den Status einer zweitrangigen imperialen Macht, einen von den Medien angeführten politischen Prozess in Gang setzt, der dazu führt, dass nationale Meinungsbildung- und Beschlussfassung, ausser einer rein formalen Einpeitschfunktion [Cheer-leader funktion], bedeutungslos werden. Es wäre auch zu fragen wie es dazu kommen konnte, dass das Hauptkriegsziel der Nato war "die Allianz zusammen zu halten", und welche Disziplinen damit gemeint waren und wie leicht und blutig sich das wiederholen lässt. Der moralische Alleinvertretungsanspruch der von den Befürwortern der Intervention als Ersatz für eine rationale Argumentation gegeben wurde kann nicht länger aufrechterhalten werden. Ein echter Zwiespalt in Hinblick auf unsere gemeinsame menschliche Verantwortung, sollte nicht dafür herzuhalten haben, um den Virus Imperialismus eines sich wiedererweiternden Westen zu reaktivieren. Je arroganter die neue Doktrin auftritt, um so grösser die Bereitschaft für die Wahrheit zu lügen. Die Fähigkeit etwas zu tun, unterstützt die moralische Selbstachtung, wenn wir den Gedanken von uns weisen können, dass wir weniger moralisch Handelnde als Verbraucher von vorgekauten Wahlmöglichkeiten sind. Am Aufgang des Jahrtausends leben wir in einem virtuellen Collosseum in dem exotische und finstere Unruhestifter nicht von Löwen sondern von mystischen Flugapparaten des Imperiums getötet werden. Während die Kandidaten für die Bestrafung - oder das Martyrium - in die Arena gestossen werden, reagieren viele der Bevölkerung im Westen auf die Show wie imperialen Konsumenten und nicht wie Bürger mit einem parlamentarischen Recht und einer demokratischen Verpflichtung, die Vorgänge zu hinterfragen. Mögen die Ergebnisse ihrer gegenwärtigen Untersuchungen erweisen, dass ich unrecht habe. Vielen Dank.

 

FUSSNOTEN DES UEBERSETZERS  (Hartmut Gehrke-Tschudi)

 

FUSSNOTE #1: Faschoda: Stadt im Südsudan, am weissen Nil. 1898 war es der Schauplatz des Faschoda Konflikts der Frankreich und England an den Rand eines Krieges brachte und 1899 zum englisch-französischen Grenzabkommen führte, das die Grenze zwischen dem Sudan und franz. Kongo entlang der Wasserscheide des Kongo und Nil Beckens festlegte. Die Bildung einer englisch-französischen Entente 1904 veranlasste die Briten dazu, den Namen der Stadt in »Kodok« umzuändern, in der Hoffnung die Erinnerung an diesen Vorfall zu vertuschen.

FUSSNOTE #2: ein Sarkasmus des Autors, betr.: Christiane Amanpour die Leni Riefenstahl der USA, seit Golfkriegszeiten Kriegsberichterstatterin des CNN und Frau von US-Stabschef James Rubin. A. wollte wenige Wochen vor Kriegsbeginn in den Kosovo reisen, um für die westliche Wertegemeinschaft den "Beweis" zu bringen, dass dort ethn.Vertreibungen und Völkermord stattfinden. Die jugosl. Regierung erlaubte ihr aber nicht die Einreise. Sie hatte A. Art der manipulativen Berichterstattung schon kennengelernt und wollte der NATO keinen Vorwand zum Krieg geben.

samedi, 11 décembre 2010

Der grosse Flirt mit Israel

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Der große Flirt mit Israel

Ex: http://www.jungefreiheit.de/

ASKALON. Eine Delegation europäischer Rechtspolitiker führt derzeit in Israel politische Gespräche. Sie soll dort auf Einladung israelischer Politiker „Strategien gegen den islamischen Terror“ beraten, berichtet die österreichische Tageszeitung Der StandardUnter ihnen befinden sich Heinz-Christian Strache (FPÖ), Philip Dewinter (Vlaams Belang) und René Stadtkewitz (Die Freiheit). 

Der Pro-NRW-Vorsitzende Markus Beisicht lobte die Initiative als Beitrag zur Enttabuisierung. Der Gegensatz, den „weite Teile der Altrechten“ gegen Israel aufbauten, sei überholt. „Die große Bedrohung heißt heute Islamisierung, und in diesem Punkt sind Israel und Europa mit den gleichen Problemstellungen befaßt.

Wilders will mehr Siedlungen im Westjordanland

Zwar befasse sich Pro NRW nicht mit außenpolitischen Themen, so Beisicht, dennoch „begleiten wir diese Schritte schon jetzt mit großem Interesse und haben uns auch sehr über die herzlichen Grüße von Philip Dewinter aus Israel gefreut, die uns am Wochenende per Handy erreicht haben“, hieß es in einer Mitteilung. Spätestens zur Europawahl 2014 wolle sich Pro NRW aber auch mit diesen Fragestellungen beschäftigen.

Unterdessen berichtet Die Welt, daß der niederländische Islamkritiker Geert Wilders Israel auf einer Konferenz in Tel Aviv aufgefordert habe, den Siedlungsbau zu verstärkten. In seine Rede bei der Hatikva-Partei sagte Wilders: „Die Bauarbeiten müßten fortgesetzt werden, damit Israel eine Grenze erhalte, die zu verteidigen sei, sagte Wilders. Die jüdischen Siedlungen im Westjordanland seien kein Hindernis für den Frieden. Sie seien der Ausdruck des jüdischen Rechts, in diesem Land zu leben. Wilders forderte, das benachbarte Jordanien müsse die 2,5 Millionen Palästinenser aufnehmen, die im Westjordanland leben.“ (rg)

ATTAC, le politique autrement? Pas vraiment...

Attac, la politique autrement ? Pas vraiment…

Ex: http://tpprovence.wordpress.com/

Publié en 2007 par le sociologue Raphaël Wintrebert, l’ouvrage Attac, la politique autrement ? Enquête sur l’histoire et la crise d’une organisation militante aux éditions La Découverte, est passionnant d’un bout à l’autre.

En effet, l’auteur, spécialiste de la question (sa thèse porte justement sur Attac France), nous fait vivre de l’intérieur toute l’évolution de cette association pas comme les autres durant une petite dizaine d’années. Le livre fourmille de témoignages, tant des principaux dirigeants que des simples militants de base. Petite anecdote, afin de garder l’anonymat de certains témoins, il leur attribue des pseudonymes des plus agréables à la lecture : M. Hêtre, M. Sapin, M. Bleuet, Mme Marguerite etc. Nous sentons bien que Raphaël Wintrebert a été tout ce temps un témoin privilégié au cœur du système. Son analyse, loin d’être partisane, nous a semblé des plus objectives et honnêtes.

Tout commence avec la création de l’Association pour la taxation des transactions financières pour l’aide aux citoyens (Attac) à l’initiative du Monde diplomatique en 1998 et regroupant divers titres de presse, syndicats et associations. Son but premier est de produire et diffuser des informations économiques et financières à visées antilibérales. Dès le début, Raphaël Wintrebert nous fait ressentir combien Attac répond à une attente de militants et suscite des espoirs. Enfin, “un autre monde est possible” pour reprendre le fameux slogan. Le succès de l’opération surprend même ses fondateurs. Très vite, le nombre d’adhérents ne cesse d’augmenter. De 1999 à 2003, l’association compte environ 10 000 adhésions nouvelles chaque année ! C’est un véritable succès sans équivalent jusqu’à présent. Sur la scène altermondialiste nationale et internationale, Attac devient dès lors inévitable.

Cependant, rapidement, les premiers craquements apparaissent. Opposition entre les militants locaux et la direction nationale, organisation interne complexe et fonctionnement peu démocratique avec dérive autoritaire, difficile équilibre entre les différentes associations et les différents syndicats composants l’association, gestion financière suspecte, recherche d’un nouveau souffle, et, surtout, rivalité croissante entre les dirigeants qui conduira directement à la crise de 2006. Celle-ci fait suite à la campagne interne pour des élections où deux principaux camps vont s’affronter, celui du nouveau président de l’association Jacques Nikonoff et de l’ancien président Bernard Cassen d’un côté, et celui de Pierre Khalfa et Susan George de l’autre. Comme l’avait prévenu un des dirigeants : « ça va saigner ! ». Et ça a effectivement saigné. Les masques vont tomber et toutes les haines accumulées vont apparaître au grand jour. La violence verbale atteindra son paroxysme avec son lot d’injures quotidiennes, ses mensonges, ses insinuations. Cerise sur le gâteau, l’élection elle-même sera entachée d’une fraude prouvée de manière irréfutable. En quelques mois, toute l’aura d’Attac est balayée d’un revers de la main. Désormais, plus rien ne sera comme avant et l’association ne s’en relèvera jamais complètement.

Plus largement, l’échec d’Attac nous interroge sur l’échec plus global de cette gauche de la gauche, notamment lors de la présidentielle de 2007 où, après de nombreux déchirements, elle a été incapable de présenter une candidature commune. Certes, bien que nous ne partageons pas ses idées, nous ne pouvons pas nier qu’Attac a sûrement été l’organisation qui a su critiquer le plus finement les travers du libéralisme. De même, il est indéniable que l’association a ouvert ses portes à des personnes intellectuellement très brillantes. Pourtant, au fil de la lecture, un malaise subsiste. Comment faire confiance à des individus qui, à part critiquer, ne savent rien faire d’autre ? Pour avoir des idées, ils sont très forts, mais ils sont incapable de les appliquer ou de construire concrètement un modèle alternatif viable qui ne sombre pas rapidement dans le chaos. Par exemple, promoteurs de la démocratie participative, elle n’a jamais été pratiquée au sein d’Attac. C’est même complètement l’inverse qui est en usage tellement le fonctionnement de l’association est compliqué. Le livre nous montre parfaitement le comportement infantile de ces apparatchiks professionnels de la contestation aveuglés par leur soif du pouvoir, et dont l’idéologie sert le plus souvent de prétexte à leurs ambitions personnelles. Ces gens là, tout comme les politiciens, sont complètement décalés de la vie réelle, n’exercent plus vraiment d’activité professionnelle puisqu’ils passent leur vie uniquement dans le milieu associatif ou syndical en imaginant “un autre monde“, une “autre gauche“, une “autre politique” qu’ils sont bien incapables de mettre en œuvre car pris dans leurs petits conflits internes nombrilistes. Et tout comme les politiciens, ils ne savent créer rien d’autre que de la déception, du dégoût, de l’écœurement pour les simples militants lorsque ces derniers refusent d’entrer dans ce système.

Alors, au final, pour rependre le titre de l’étude, faire de la politique autrement, c’est possible ? Peut être, mais pas au sein d’Attac…

Source : Enquête & Débat.

The Empire Embarrassed

 
 

SpiegelWikileaksTitel.jpgWikileaks released another 250,000 classified documents over the weekend, this time from the Department of State. Since the details concern the everyday workings of U.S. diplomacy, the leaks have much greater potential for scandal than the previous series on Iraq and Afghanistan. Few of the files are currently available at the organization’s site (due to denial of service attacks from you-know-who), but major media outlets have deigned to provide us the most “shocking” revelations:

  • Saudi King Abdullah and other Gulf potentates have been exhorting the White House to attack Iran. The Israelis have already seized this opportunity to justify their own pressure campaign on Washington.
  • Iranian President Mahmud Ahmadinejad is just like Hitler.
  • Secretary of State Hillary Clinton ordered the collection of biometrics and other intelligence on foreign diplomats working at the UN in New York.
  • Pakistan teeters on the brink of chaos and its nuclear arsenal isn’t fully secure (Surprise!).
  • Clinton views the friendship between Italian PM Silvio Berlusconi and his Russian counterpart Vladimir Putin with deep suspicion, and wants tabs kept on their business ties.
  • Putin is an alpha dog, and Russia a “virtual mafia state”. It is well known the Kremlin uses mob assets overseas for its own purposes, but this allegation is especially rich coming from the United States of Goldman Sachs.

While there are doubtless many interesting details to be sifted through in this batch, such as U.S. and Turkish double games in Iraqi Kurdistan or Russian-Israeli bargaining over weapons sales to Iran, there don’t appear to be any earth-shaking disclosures emerging from its substance. These are, after all, State Department cables mostly at the secret level of classification that reflect the conventional wisdom of the American foreign policy establishment. They are written by FSOs (Foreign Service Officers) who graduated from mid-level and elite universities, tend to read The Economist for inspiration and think all the right thoughts on matters cultural and political. Such people generally have a high opinion of themselves and their capacity for free thinking, all the while stringently observing the doctrines of political correctness as they work to bring the light of democracy to the world.

Prominent, but perhaps not unexpected, in the documents is the gossipy and frivolous tone of their content. Diplomatic telegrams have long relayed these sorts of minutiae, though now we have the generation raised on E! Television, Bravo and TMZ composing them.

What’s been unveiled isn’t so much the stuff of espionage novels as People Magazine for diplomats and policymakers. So Russian President Dmitry Medvedev plays Robin to Putin’s Batman, Berlusconi stays up too late with the ladies, and Azeri leader Ilham Aliev’s wife has received multiple facelifts. The secrets exposed by the leak pale in comparison to the utter vapidity and decadence of the class at the helm of the self-proclaimed “last, best hope for mankind”. Washington suffers embarrassment from such a massive hemorrhage of sensitive information, but what’s most embarrassing is the emptiness of it all. The Postmodern Empire is like Oakland- there’s no there there.

00:15 Publié dans Actualité | Lien permanent | Commentaires (0) | Tags : wikileaks, politique internationale, révélations | |  del.icio.us | | Digg! Digg |  Facebook

vendredi, 10 décembre 2010

"Wir sind nicht das Weltsozialamt" - Interview mit Udo Ulfkotte

»Wir sind nicht das Weltsozialamt«

Exklusiv-Interview mit Udo Ulfkotte

Michael Grandt / Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Noch immer schlagen die Wellen in Sachen Migration hoch. Der Publizist Udo Ulfkotte hat schon vor Jahren vor Missständen gewarnt, aber niemand wollte auf ihn hören. In seinem neuen Buch präsentiert er dort Fakten, wo Sarrazin nur Aussagen macht.

Zur Person:

Dr. Udo Ulfkotte ist Jahrgang 1960. Er studierte Kriminologie, Islamkunde und Politik. Von 1986 bis 2003 arbeitete er für die Frankfurter Allgemeine Zeitung – zumeist im Nahen Osten. Er ist Sicherheitsfachmann und wendet sich gegen die schleichende Islamisierung. In zahlreichen Büchern, die Bestsellerauflagen erreichten, hat der Autor über die von den Medien verschwiegene Entwicklung aufgeklärt. Der Schweizer Journalist Beat Stauffer nannte Ulfkotte 2007 einen der »härtesten deutschen Islamismus-Kritiker« und berichtete: »(…) auch erklärte Gegner anerkennen, dass sich Ulfkotte auf der Ebene der Fakten nicht so leicht widerlegen lässt.« Viele muslimische Mitbürger haben zur Ermordung von Ulfkotte und seiner Familie aufgerufen, die nun an einem geheimen Ort lebt. Zuletzt erschien im Kopp Verlag sein Buch Kein Schwarz. Kein Rot. Kein Gold., über das in der Mainstreampresse bereits kontrovers diskutiert wird.

Michael Grandt: Warum sind Sie überhaupt zu einem der hartnäckigsten Islam-Kritiker in Deutschland geworden?

Udo Ulfkotte: Ich bin mit einem ziemlich naiven Weltbild nach einem Studium von Jura, Politik und Islamkunde zur Frankfurter Allgemeinen Zeitung gekommen, wo ich 17 Jahre aus der islamischen Welt berichtet habe. Zwischen dem, was mir deutsche Universitäten über die islamische Welt und Muslime vermittelten, und der Realität bestand ein Unterschied wie zwischen Tag und Nacht. Der aus unserer westlichen Sicht so friedfertige Islam begegnete mir überall in der islamischen Welt absolut unfriedlich. Überall dort, wo Muslime und Christen oder Muslime und Nicht-Muslime zusammenleben, gibt es irgendwann Bürgerkrieg oder Krieg. Nach 17 Jahren Realitätserfahrung vor Ort habe ich feststellen müssen, dass auch meine europäische Heimat durch die Zuwanderung von immer mehr Muslimen in genau das abgleitet, worüber ich viele Jahre aus fernen Ländern berichtet habe: Parallelgesellschaften, der Vormachtanspruch und das Überlegenheitsgefühl der Muslime, die Beanspruchung von Sonderrechten, wie Migrantenbonus vor Gericht, die Behandlung von Nicht-Muslimen, also ethnischen Europäern als Menschen zweiter Klasse, und vor allem: horrende Kosten, die wir für vergebliche Integrationsversuche ausgeben. Jegliche Kritik an diesen Zuständen wird oder besser gesagt wurde in Europa über Jahre brutal mit der Nazi-Keule unterdrückt.

Zum Islam-Kritiker hat mich die Bundesregierung gemacht. Ich habe viele Sachbücher geschrieben und wäre nie Islam-Kritiker geworden, hätte mir dieser Staat nicht sechs Hausdurchsuchungen verordnet. In den Durchsuchungsbeschlüssen stand jedes Mal, ich hätte möglicherweise »Dienstgeheimnisse« verraten. Ich hatte ganz normal über das Verhalten von Muslimen berichtet – allerdings über das Verhalten jener Muslime, die von der Bundesregierung hofiert und zu Islam-Gipfeln eingeladen werden. Ich hatte von Sicherheitsbehörden Unterlagen zugespielt bekommen, die das wahre Gesicht einiger dieser Menschen deutlich zeigten. Und dann kam die Rache dieses Staates – die Hausdurchsuchungen. Der Überbringer der Botschaft wurde geköpft, die Wahrheit galt als »Dienstgeheimnis«. Seither interessiert mich politische Korrektheit nicht mehr. Lange vor Sarrazin habe ich die Dinge beim Namen genannt und auch belegt. Ich habe bei den Durchsuchungen gemerkt, dass wir Bürger für die Herrschenden nur Stimmvieh sind, das alle paar Jahre ein Kreuzchen machen darf. Und ich habe erfahren müssen, dass die Regierenden die schleichende Islamisierung Europas schlicht nicht interessiert. Die Parteien interessiert nur das nächste Kreuzchen des Stimmviehs. Und ob das Stimmvieh in ein paar Jahren in einem islamischen oder aber einem anderen Staatswesen lebt, das interessiert die da oben ganz bestimmt nicht. Auf dem Gebiet, auf dem ich mich auskenne – dem Islam und der Islamisierung Europas – mache ich also den Mund auf, damit unsere Kinder einmal später sehen, dass nicht alle geschwiegen haben.

Michael Grandt: Ihre Gegner werfen Ihnen eine »Islamophobie« und ein eingeengtes Weltbild vor, was sagen Sie dazu?

Udo Ulfkotte: Islamophobie ist nach der Wortbedeutung eine an Wahn grenzende Angst vor dem Islam. Islamophobie ist heute vor allem unter Muslimen verbreitet, etwa unter Sunniten, die Schiiten hassen, oder unter Schiiten, die Sunniten hassen. Überall in der islamischen Welt werden täglich Muslime Opfer dieser hasserfüllten islamophoben Wahnvorstellungen. Die weisen Politiker der westlichen Welt haben keine Erklärung dafür, warum es Islamophobie unter Muslimen gibt. Sie nennen es vielmehr nur Islamophobie, wenn Europäer nicht freudig erregt ihre eigene Verdrängung durch Muslime in Europa begrüßen. Wenn Hunderttausende Türken im Frühjahr 2007 in ihrer Heimat gegen die Islamisierung ihres Landes demonstrieren, dann ist das aus westlicher Sicht keine Islamophobie, sondern ein friedlicher Massenprotest. Zeitgleich wird jegliche Kritik am Islam in westlichen Staaten von Muslimen unter dem Beifall von Intellektuellen als »Islamophobie« bezeichnet. Das ist schizophren. Das zeigt, wie krank unsere Politiker und Intellektuellen sind. Der Begriff »Islamophobie« stammt übrigens von der terroristischen islamischen Gruppe Hizb ut-Tahrir, die in Deutschland verboten ist. Wenn mir also jemand »Islamophobie« vorwirft, dann ist das bei näherer Betrachtung so, als ob mir ein Nazi vorwirft, dass ich seine Ideologie nicht teile. Ich habe tiefstes Mitleid mit jenen, die so dumm sind und Kampfbegriffe wie »Islamophobie«, die von islamischen Terrorgruppen kreiert worden sind, unkritisch nachplappern.

Michael Grandt: Was unterscheidet Ihre neue Publikation Kein Schwarz. Kein Rot. Kein Gold. von dem Buch Sarrazins?

Udo Ulfkotte: Zu jeder Aussage des Buches gibt es die Originalquellen. Insgesamt rund tausend Quellen, die man im Internet mühelos anklicken kann. Wenn man also schlicht nicht glauben will, dass Migranten aus den deutschen Sozialversicherungssystemen schon bis 2007 mehr als eine Billion (!) Euro mehr herausgenommen als in diese einbezahlt haben, dann klickt man auf der zum Buch gehörenden Website die Fundstelle an und kann sich vom Wahrheitsgehalt dieser Aussage überzeugen. Wer nicht glaubt, dass wir Steuerzahler gewalttätigen Migranten Boxkurse finanzieren, anatolischen Frauen Kurse, in denen sie lernen, einen Tampon zu benutzen oder wie man ein Hemd bügelt, dann schlägt man die Originalquelle nach. Und dann wird einem schnell klar, dass ethnische Europäer längst schon Menschen zweiter Klasse sind, die immer öfter nur noch dafür arbeiten, die unglaublichen Leistungen für Migranten zu finanzieren. Wussten Sie, dass wir seit Jahrzehnten Türken und Mitglieder von Balkan-Großfamilien, die noch nie in Europa gewesen sind, kostenlos und ohne einen Cent Zuzahlung, in der gesetzlichen deutschen Krankenversicherung mitfinanzieren? Davon können ethnische Deutsche, deren Krankenkassenbeiträge ständig erhöht werden, nur träumen. Wussten Sie, dass die Bundesregierung seit 2003 versprochen hat, diese Benachteiligung ethnischer Deutscher endlich zu beenden, es aber bis heute nicht getan hat? Wussten Sie, dass schon mehr als 40 Prozent der Sozialhilfebezieher in Deutschland Ausländer sind und die von ihnen verursachten Kosten für die Steuerzahler pro Jahr (!) höher sind als die Kosten der Finanzkrise? Der Unterschied zum Sarrazin-Buch besteht in der Dichte der Fakten und den direkt präsentierten Belegen. Tausend unglaubliche Fakten – und tausend Quellen. Da kann man nicht mehr sagen, dies oder das ist »rechtsextrem«, denn es sind Fakten. Sarrazin trifft Aussagen, ich präsentiere Fakten. Die Resonanz der Medien ist aufschlussreich: All jene, die über Sarrazin diskutiert und sich aufgeregt haben, schweigen zu meinem Buch. Ist doch klar: Sie kommen an den Fakten nicht vorbei. Wie wollen Journalisten denn den Bürgern da draußen erklären, dass es gut für uns ist, wenn Türken, die noch nie in Deutschland gewesen sind, in Anatolien in der deutschen Gesetzlichen Krankenversicherung versichert sind? Während wir Deutsche ständig neue Zusatzzahlungen für die Krankenversicherung leisten müssen, sind türkische Familienangehörige in der Türkei kostenlos mitversichert. Das erklären Sie mal einem deutschen Beitragszahler …

Michael Grandt: Wie lautet die zentrale Aussage Ihres Buches?

Udo Ulfkotte: Migranten aus islamischen Staaten sind Wohlstandsvernichter. Weil wir nicht das Weltsozialamt sind, müssen wir unsere Gastarbeitslosen wieder zum Gehen auffordern. Sonst bricht der Sozialstaat in weniger als 48 Monaten zusammen. Denn wir finanzieren das gerade schon mit den Steuergeldern unserer noch nicht einmal gezeugten Kinder.

Michael Grandt: Sehen Sie Unterschiede in der Wahrnehmung Ihrer kritischen Publikationen zwischen der intellektuellen Elite, dem medialen Establishment und dem Normalbürger?

Udo Ulfkotte: Da gibt es ganz gewaltige Unterschiede. Wenn man sich vor Augen hält, dass ein normales Sachbuch zu dieser Thematik von mir in kurzer Zeit irgendwo zwischen 60.000 und 100.000 Mal verkauft wird, meine Bücher allerdings in Medien fast nie erwähnt werden, dann zeigt das den volkspädagogischen Charakter unserer Medien und intellektuellen Eliten. Bücher, die kaum 2.000 Mal verkauft werden, werden überall besprochen, wenn sie nur politisch korrekt sind. Mich stört das allerdings nicht. Denn jene, die meine Bücher kaufen, bestellen die Zeitungen, die sich so verhalten, irgendwann ganz einfach ab. Die Qualitätsmedien schaufeln sich ihr eigenes Grab, indem sie ihre Kunden vergraulen. Eigentlich schade, aber wenn sie so dumm sind, kann ich es auch nicht ändern.

Michael Grandt: Haben Sie Drohungen erhalten?

Udo Ulfkotte: Ich kann die nicht mehr zählen. Von 2002 bis Ende 2003 hatte meine Familie wegen der vielen Morddrohungen Polizeischutz. Wir sind nach Angriffen mehrfach umgezogen. Wir haben heute zum Schutz scharfe Wachhunde. Ein Angreifer wäre in Sekundenbruchteilen Hackfleisch. Die letzte Morddrohung stammt übrigens von einem Produzenten von Xavier Naidoo. Der hatte vor wenigen Wochen öffentlich einen Preis für denjenigen ausgesetzt, der mir den Kopf abschneidet. Das Verfahren ist derzeit bei der Staatsanwaltschaft Hamburg anhängig. Es gibt leider immer mehr von diesem Bodensatz unserer Gesellschaft, der sich selbst dabei auch noch witzig findet, um den sich die Staatsanwaltschaften kümmern müssen.

Michael Grandt: Sie sind ebenfalls sehr kritisch, wenn es um die Politik islamischer Staaten geht. Wie verhält es sich im Falle Israels, das immer wieder Menschenrechte bricht und sich um keine UN-Resolutionen schert?

Udo Ulfkotte: Ich habe nicht das geringste Problem damit, den Staat Israel zu kritisieren. Wo Kritik angebracht ist, da muss man sie auch offen äußern.

Michael Grandt: Ich danke Ihnen für dieses Gespräch.

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Publikationen von Udo Ulfkotte:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Was Julian Assange treibt

Was Julian Assange treibt

Michael WIESBERG

Ex: http://www.jungefreiheit.de/

wikileaks-julian-assange.jpg„Mächtige spüren die Macht der Hackerethik“ übertitelte Christian Stöcker Ende letzter Woche einen Artikel für Spiegel-Online, in dem er unter anderem auf den Hacker-Guru Steven Levy zu sprechen kam. Levy brachte 1984 mit seinem Buch „Hackers. Herores of the Computer Revolution“ der Welt zum ersten Mal die Hackerszene nahe, deren Anfänge bereits in den 1950er Jahren lagen. Beschrieben wird, wie sich mit der schrittweisen Entwicklung des Computers „etwas Neues verdichtete ...: eine neue Lebensweise mit einer Philosophie, einer Ethik und einem Traum“.

Levy war es, der wohl als erster so etwas wie eine „Hackerethik“ entwickelte, die unter anderem im Beitrag von Boris Gröndahl zu dem Buch „Netzpiraten. Die Kultur des elektronischen Verbrechens“ (Hannover 2001, S. 145) nachgelesen werden kann. In Kürze lautet die sechs ethischen Prinzipien der Hackerszene:
1. Der Zugang zu Computern sollte unbegrenzt und umfassend sein.
2. Alle Informationen sollten frei sein.
3. Mißtraue Autorität – fördere Dezentralisierung.
4. Hacker sollten nur anhand ihres Hackens beurteilt werden.
5. Mit einem Computer kann Kunst und Schönheit erzeugt werden.
6. Computer können das Leben verbessern.
 

Offenere Formen des Regierens

Julian Assange, Gründer von WikiLeaks mit einschlägiger Hacker-Vergangenheit, hat aus diesem Kanon der Hackerethik insbesondere die Regel 2 radikal ausgelegt, wie Stöcker feststellt: Wenn alle Information öffentlich sei, so Assange, könne das für die Menschheit nur vorteilhaft sein. Dies deshalb, weil man nur so auf enthüllte Ungerechtigkeit antworten bzw. nur so die Ungerechtigkeit in der Welt bekämpfen könne.

Assange überbietet Levy indes in einem ganz bestimmten Punkt: er äußerte nämlich die Überzeugung, „ungerechte Systeme“ mit Datenlecks kippen zu können – damit sie durch „offenere Formen des Regierens ersetzt werden können“. In diesem Zusammenhang stellt sich unter anderem die Frage, wer darüber entscheidet, was ein „ungerechtes System“ ist. Nimmt man Assange beim Wort, fällt darunter wohl auch die USA, deren „Datenlecks“ er und seine Mitstreiter ohne Beachtung irgendeines Datenschutzes radikal ausnutzten. Assange nimmt in Kauf, daß durch sein Vorgehen unterschiedslos Politiker, Journalisten, Informanten, Botschaftspersonal etc. mit möglicherweise gravierenden Konsequenzen denunziert werden.

Die totale Informationsfreiheit

Polithacker wie Assange wollen – dieser Eindruck drängt sich zumindest auf – eine grundsätzlich andere Welt bzw. andere, „neue“ Menschen. Ein Hebel dazu ist die „totale Informationsfreiheit“. Dafür gibt es bereits einen Begriff, der sich „postprivacy“ nennt. Ein Vertreter dieser Szene, nämlich Michael Seemann, erklärt denn auch ganz lakonisch: „Wir steuern auf eine Gesellschaft zu, in der es keine Geheimnisse mehr gibt. Das wird nicht der Weltuntergang sein, wir müssen uns nur darauf einstellen.“

Stöcker resümiert den dahinterliegenden Kerngedanken wie folgt: „Wenn alles offen ist, muß sich niemand mehr vor Veröffentlichungen fürchten.“ Dieser „ideologische Ansatz“, so urteilte Christian Malzahn in einem Beitrag für Welt-Online, machen den „digitalen Revolutionsführer“ [Assange] „zu einem klassischen Anarchisten. Je mehr Leaks der Internet-Guevara produzieren kann, umso effektiver die digitale Revolution“.

Das Ende der Öffenlichkeit

Es bedarf keiner großen Phantasie, um zu erkennen, daß dieses Szenario nicht zu einer „offeneren Form des Regierens“ führt, sondern in eine menschenfeindliche Gesellschaft, die keine Abgrenzung mehr zwischen dem privaten und dem öffentlichen Raum zuläßt. Wo befürchtet werden muß, daß letztlich alles „öffentlich“ werden kann, gibt es keine Privatsphäre mehr. Es zerfällt dann aber auch die „Öffentlichkeit“ als Forum gesellschaftlicher Erfahrung und kulturellen Austauschs, der auf der Basis bestimmter Konventionen stattfindet.

Ein Austausch indes, der einzukalkulieren hat, daß all das, was auf der Basis gegenseitigen Vertrauens ausgetauscht wird, öffentlich werden kann, findet nicht mehr statt. Was das für die menschliche Kommunikation insgesamt bedeutet, mag man sich unschwer ausmalen. „Cablegate“, also die unterschiedslose (aktuell ins Stocken geratene) Veröffentlichung vertraulicher Diplomatendepeschen durch WikiLeaks, ist vor diesem Hintergrund ein erster Schritt in diese Gesellschaft, in „der es keine Geheimnisse mehr geben soll“.

Michael Wiesberg, 1959 in Kiel geboren, Studium der Evangelischen Theologie und Geschichte, arbeitet als Lektor und als freier Journalist. Letzte Buchveröffentlichung: Botho Strauß. Dichter der Gegenaufklärung, Dresden 2002.

jeudi, 09 décembre 2010

Rechtspopulisten auf dem rechten Weg?

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Rechtspopulisten auf dem rechten Weg?

Eigentlich  hatte die europäische Einigung nach amerikanischem  Muster das  ehrgeizige Ziel, das Modell National  zu überwinden.  Das ist nachweislich mißlungen. Die Europäische Union hat, im Gegenteil, mit ihrer verrückten Politik die nationalen Geister, die man verbannen wollte, vorerst zu neuen Taten erweckt. Es ist vor allem der rechte Populismus, der in diesem Europa ohne Grenzen seine Aktionsbasis gefunden hat, von der aus Fragen von nationalem Interesse und solche der Identitäten  in Angriff genommen werden konnten. Was man auch reichlich genützt hat und weiter nützt.                                           

Von Portugal bis Bulgarien, von Schweden bis Italien haben sich populistische Parteien und Organisationen mit unterschiedlichem Erfolg etabliert. Diesen  Erfolg verdankt man politischen Fehlern und ökonomischen Problemen der herrschenden Eliten, vermehrt aber der Gefahr einer Islamisierung durch ungezügelte Zuwanderung. Letzteres Problem hat nun eine weitere außereuropäische Kraft auf den Plan gerufen: die israelische Rechte und deren Ableger in Europa. Erst durch das stille bis offene Engagement dieser  an der Seite einiger rechten Parteien und Gruppieren hat sich die Lage für die bisher eher als Antisemiten und Ausgegrenzte geltenden Populisten entscheidend verbessert. Jetzt  sieht man sie, mit dem Segen der einen israelischen Reichshälfte ausgestattet, endlich regierungsfähig.                                                                                                                             

Ehe ich in einem späteren Kommentar auf diese  merkwürdige Kooperation  und  auf einige zu Philosemiten gewandelte Akteure näher zu sprechen komme, doch einige klärende Bemerkungen zum rechten Populismus  an sich.                                                                                                                                                                                                  Ein wichtiges  Merkmal dieser populistischen Bewegungen sehe  ich darin, daß sie als wählbare  und demokratische Kraft  anerkannt werden wollen. Also als  politische Organisation innerhalb des Verfassungsbogens in gleicher Weise respektiert zu werden  wie die etablierten großen  Parteien.  Die Populisten wollen das System gewiß nicht beseitigen, sondern nur dessen Auswüchse, dazu eben die unkontrollierte Einwanderung, die Ideologie der Globalisierung oder die Spekulation gehören.  Allerdings können oder wollen sie nicht begreifen, daß die von ihnen angeprangerten Fehler und Mißstände unentwirrbar mit dem so hoch gepriesenen demokratischen System universellen Zuschnitts verknotet  sind.                                                                                                   

Insofern  können  wir einen Widerspruch feststellen, der eben darin besteht, daß man nicht Vollmitglied und Stütze des Systems und gleichzeitig dessen entschiedener Kritiker sein kann, ohne früher oder später unglaubwürdig zu werden.  Außerdem  fehlt den Populisten, nicht selten sehr einfache Gemüter, das nötige in sich gefestigte ideologische oder weltanschauliche Brecheisen, eine Doktrin,  um die herrschenden Denkzirkeln und Ideologien aus den Angeln zu heben. Es ist jedoch, wie gesagt, unmöglich ein System zu ändern oder auszuwechseln, wenn man selbst zum Räderwerk des herrschenden gehört. Wenn überhaupt, müßte in diesem Fall  eine solche Initiative aus dem innersten Kern des Systems selbst kommen, um Erfolg zu haben. Diesem Kern aber gehören die rechten Populisten nicht an und werden ihm auch nicht angehören  können ohne sich selbst oder die Ideale, für die man angetreten ist, ganz aufzugeben.

Es ergibt sich also, daß alle rechten populistischen Bewegungen nur Erfolg haben können, wenn  sie die selbe politische und demokratische Philosophie vertreten und im Grunde das selbe materielles Glück verheißende  Ziel anstreben wie ihre das System stützenden Konkurrenten am Platz. Da stellt sich natürlich für andere die Frage: soll man an Wahlkämpfen gar nicht teilnehmen. Man soll, unter der Voraussetzung, daß man sich nicht in den Fängen des Systems  wiederfindet, daß man nicht (wie jetzt die linken Populisten in Wien) über den  Tisch gezogen wird (von welcher Seite auch immer) und daß man  nicht als nützliche Idioten  am pseudodemokratischen Spiel teilnimmt.                                              

Die Teilnahme an Wahlen oder an einer Regierung darf nicht dazu führen, daß das korrupte  System dadurch funktionsfähig bleibt oder gestärkt wird, sondern hat einzig und allein im Sinne der Sache des Volkes und der eigenen Philosophie den Interessen der Organisation  oder Partei  zu dienen. Die Möglichkeiten dazu sind mannigfaltig und hängen von den jeweiligen Umständen ab. Auf keinen Fall soll es dazu führen, daß jene, die ein Mandat errungen haben, nichts Besseres zu tun haben, als ihre guten Ideen so einzubringen, daß sie  dem kritisierten System zu gute kommen und sich zuletzt als Waffe gegen die Urheber erweisen.  Der Geist, der  eine gute Idee umsetzt, ist schließlich ein anderer  als jener der sie  ersonnen hat.                                                                                        

Nun ist der rechte Populismus an sich nicht in jedem Fall etwas Schlechtes, er ist vielfach  eine Art Hilfeschrei  der überfremdeten oder ausgebeuteten  europäischen Völker, Opfer der Globalisierung und Einwanderung, zuletzt auch der Wirtschafts- und Finanzkrise.  Eine sanfte Revolte gegen das „Establishment“, aber mehr  ist es nicht. Sicher, besser als gar nichts, doch am Ende eben nur ein symbolischer Akt eines Papiertigers , dem der entscheidende Biss, eine revolutionäre Doktrin also, fehlt. Eine solche haben aber jene sehr wohl, denen jetzt rechte Populisten anscheinend ihr  politisches Schicksal  anvertraut haben. Dazu ist, wie gesagt, demnächst an dieser Stelle noch einiges zu sagen.

Die sieben Todsünden der EU

Die sieben Todsünden der EU

Michael Grandt

Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Wie kann es so weit kommen, dass die Europäische Gemeinschaft den Euro in eine Existenzkrise treibt? Hier die politisch unkorrekte Antwort.

 

 

 

mercredi, 08 décembre 2010

"Les Etats-Unis à l'origine des tensions au sein de la zone euro"

« Les Etats-Unis à l’origine des tensions au sein de la zone euro »

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

dollar-euro-le-rapport.jpgL’Allemagne serait, en partie, à l’origine de l’envolée des taux d’intérêt sur les obligations portugaises et espagnoles de ces derniers jours. En cause, les récentes déclarations d’Angela Merkel sur l’éventualité de faire participer les créanciers privés en cas de restructuration de la dette publique de certains pays de la zone euro.

 

Arturo Bris, professeur de finance à l’IMD de Lausanne, partage cet avis. Lors d’une conférence qui s’est tenue jeudi au sein de la haute école de gestion, il n’a pas hésité à déclarer que l’Allemagne maintenait volontairement « au bord du précipice » les pays en proie à des difficultés – Irlande en tête. Selon lui, « les crises irlandaise, grecque, portugaise et espagnole sont une bonne chose pour l’économie allemande puis­qu’elles maintiennent l’euro à un niveau relativement bas – par rapport au dollar – et qu’elles profitent ainsi aux exportations allemandes ». Berlin aurait donc tout intérêt à ce que la situation européenne reste tendue.

Mais si l’Allemagne profite du « statu quo » en Europe, Arturo Bris relativise toutefois son rôle dans la crise actuelle. Car le moteur de l’Europe est confronté à un certain dilemme : son économie a beau profiter d’un euro faible, les Allemands ont de plus en plus l’impression de payer de leurs poches les sauvetages à répétition des autres pays européens. De plus, le marché européen est le troisième, en termes de grandeur, pour les exportations allemandes.

Pour le professeur espagnol, les principaux fautifs sont à rechercher de l’autre côté de l’Atlantique. Washington serait donc « à l’origine des confrontations que l’on observe actuellement en Europe ». Ou, plus particulièrement, sa politique monétaire. « Affaiblir le dollar a été la pire des choses pour la dynamique européenne », constate Arturo Bris. Si les Etats-Unis ont souffert de la crise grecque et de la hausse du dollar qui s’en est suivie, ils se seraient rattrapés grâce à leur politique monétaire et à l’injection de 600 milliards de dollars dans leur économie d’ici à la fin de 2011 (QE2).

 

Malgré tout, le professeur de finance reste optimiste. Dans les différents scénarios qu’il a présentés jeudi à son audience, l’implosion de l’euro – qualifiée « d’armageddon » – est considérée comme très improbable. « Les chiffres ne sont pas dramatiques et personne n’est en train de faire faillite », martèle-t-il. Et Arturo Bris a de bons arguments. Il fait notamment remarquer que le taux d’endettement de l’Espagne – 55% du PIB – fait bien pâle figure aux côtés des 190% du Japon et des 120% des Etats-Unis.

Le problème serait donc avant tout un problème de crédibilité. « Les gouvernements européens, à l’instar du Portugal et de l’Espagne, ont annoncé tout un tas de mesures ces dernières années sans jamais les respecter. Or, aujour­d’hui, sous la pression des marchés, ces gouvernements sont enfin obligés de réagir », observe-t-il avec satisfaction.

Le Temps

Washingtons geopolitischer Albtraum: China und Russland verstärken die wirtschaftliche Zusammenarbeit

Washingtons geopolitischer Albtraum: China und Russland verstärken die wirtschaftliche Zusammenarbeit

F. William Engdahl

Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Jenseits aller fraktionellen Auseinandersetzungen, die im Kreml zwischen Putin und Medwedew geführt werden mögen, mehren sich in jüngster Zeit eindeutige Hinweise darauf, dass sich Peking und Moskau nach langem Zögern darauf orientieren, die wirtschaftliche Zusammenarbeit zu stärken. Ausschlaggebend dafür mag auch die offenkundige Desintegration der USA als alleiniger Supermacht gewesen sein. Wenn sich der gegenwärtige Trend fortsetzt, dann wird Washingtons schlimmster geopolitischer Albtraum wahr: Einigkeit zwischen den Staaten auf der eurasischen Landmasse, die gemeinsam in der Lage sind, die Hegemonie Amerikas als Wirtschaftsmacht herauszufordern.

 

 

Ein genauer Blick auf die Karte zeigt, warum die wirtschaftliche Kooperation zwischen Russland und China Washington Kopfschmerzen bereitet

 

Wie es in einem chinesischen Sprichwort heißt, leben wir in »interessanten Zeiten«. Gerade noch sah es so aus, als bewegte sich Moskau unter Präsident Medwedew stärker auf Washington zu: Medwedew hatte eingewilligt, den umstrittenen Verkauf von S-300-Raketenabwehrsystemen an den Iran auf Eis zu legen und schien einer Kooperation mit Washington über Fragen der NATO einschließlich eines möglichen Raketenschildes nicht abgeneigt. Doch jetzt haben sich Moskau und Peking auf eine ganze Reihe von Maßnahmen verständigt, die weitreichende geopolitische Auswirkungen haben können, nicht zuletzt auf die Zukunft Deutschlands und der Europäischen Union.

Nach Gesprächen auf höchster Ebene haben Chinas Premierminister Wen Jiabao und sein russischer Amtskollege Wladimir Putin kürzlich in St. Petersburg öffentlich mehrere Projekte angekündigt, die in den westlichen Mainstream-Medien, die zurzeit von den Wikileaks-Skandalen geradezu besessen sind, relativ wenig Beachtung gefunden haben. Es war das siebte Mal in diesem Jahr, dass hochrangige Vertreter der beiden Länder zu Gesprächen zusammenkamen. Das allein ist schon ein Hinweis auf wichtige Entwicklungen.

Bisher gibt es kaum nennenswerte chinesische Investitionen in Russland, die wenigen Ausnahmen erfolgen zumeist in Form von Darlehen. Direkte und Portfolio-Investitionen in reale Projekte sind nach wie vor unbedeutend. Auch russische Investitionen in China sind bislang unbedeutend, doch das soll sich nun ändern. Mehrere russische Unternehmen sind bereits an der Börse in Hongkong gelistet; im Rahmen des Aufbaus gemeinsamer Technologieparks in Russland und China werden inzwischen eine Reihe russisch-chinesischer Hochtechnologie-Investitionsprojekte verfolgt.

Der Dollar wird fallengelassen

Unter anderem gaben die beiden Premierminister bekannt, man habe sich darauf geeinigt, im bilateralen Handel auf den Dollar zu verzichten und auf die eigenen Währungen zu setzen. Außerdem wurden potenziell weitreichende Vereinbarungen bezüglich Energie, Handel und die wirtschaftliche Modernisierung entlegener Regionen im Fernen Osten Russlands getroffen.

Chinesische Quellen berichteten in der russischen Presse, sie hielten diesen Schritt für Anzeichen engerer Beziehungen zwischen Peking und Moskau; der Dollar solle nicht infrage gestellt werden. Unbekümmert kündigte Putin an: »Wir haben beschlossen, bei der Abwicklung des Handels auf unsere eigenen Währungen zu setzen.« Der chinesische Yuan werde mittlerweile auf dem chinesischen Interbankenmarkt gegen russische Rubel gehandelt, während der Renminbi, der bis vor Kurzen noch als chinesische Inlandswährung nicht konvertibel war, laut Putin auch bald in Russland gegen den Rubel gehandelt werden könne.

Bisher war der gesamte Handel zwischen beiden Ländern in US-Dollar abgewickelt worden. Mit

Putin und Wen haben sich bei ihrem jüngsten Treffen auf mehr als nur die Rettung des Tigers geeinigt

Beginn der US-Finanzkrise 2007 und angesichts der extremen Volatilität des Dollar und des Euro hatten beide Länder nach Wegen gesucht, den Warenverkehr demnächst unabhängig vom Dollar abzuwickeln – mit möglicherweise weitreichenden Folgen für Letzteren. Um die Struktur des Handels zu optimieren und neue Entwicklungsmöglichkeiten zu eröffnen, haben die beiden Länder die Chinesisch-Russische Handelskammer für Maschinenbau- und Elektronikprodukte eingerichtet. Das Greenwood-Welthandelszentrum, das von einem chinesischen Unternehmen gebaut wird, soll 2011 als Ausstellungs- und Handelszentrum für chinesische Produkte in Russland eröffnet werden und als öffentliches Forum zur Stärkung des nicht-staatlichen Handels zwischen Russland und China fungieren.

Der bilaterale Handel zwischen Russland und China wächst zurzeit kräftig. In den ersten zehn Monaten dieses Jahres erreichte er ein Volumen von fast 35 Milliarden Euro, das bedeutet gegenüber dem Vorjahr einen Anstieg um 45 Prozent. Insgesamt wird für das ganze Jahr ein Handelsvolumen von 45 Milliarden Euro erwartet, womit beinahe wieder das Niveau vor der Finanzkrise erreicht wird. Beide Seiten wollen den Handel in den kommenden Jahren deutlich ausweiten; in Russland gehen einige von einer Beinahe-Verdopplung in den nächsten drei Jahren aus.1 Deshalb hat die Frage, ob der Dollar dabei umgangen wird, einiges Gewicht. Wenn mehr Länder der Shanghai Cooperation Organization – der 2001 von Russland und China gegründeten Organisation aus sechs eurasischen Staaten – diesem Beispiel folgen, so würde der Dollar in seiner Rolle als Weltreservewährung erheblich geschwächt.

Seit der Dollar 1944 im Bretton-Woods-Abkommen als zentrale Währung des Welthandelssystems etabliert wurde, beruhte die Hegemonie der USA auf zwei unabdingbaren Säulen: erstens der militärischen Dominanz und zweitens der Rolle des Dollars als Weltreservewährung. Durch die Kombination von Militärmacht und strategischer Bedeutung des Dollar beim Handel mit Öl, anderen wichtigen Rohstoffen und im Finanzwesen allgemein war Washington in der Lage, die eigenen Kriege um die weltweite Vorherrschaft mit „dem Geld anderer Leute“ zu finanzieren.

Kooperation im Bereich Energie

Auch im Bereich internationaler Energie-Kooperation wurden interessante Abkommen unterzeichnet. Die beiden großen eurasischen Mächte Russland und China planen, den vom Dollar unabhängigen bilateralen Handel auf interessante Weise auszubauen, besonders im Bereich Energie, in dem China erhebliche Defizite und Russland ebenso erhebliche Überschüsse nicht nur an Öl und Gas aufzuweisen hat.

Beide Staaten wollen die Zusammenarbeit bei der Nutzung der Kernenergie ausbauen. zunächst sollen in China mit russischer Hilfe Kernkraftwerke gebaut und gemeinsame russisch-chinesische Projekte zur Urananreicherung entwickelt werden, die den Standards der Internationalen Atomenergiekommission entsprechen. In Drittländern soll Uran gefördert werden; außerdem soll in China ein ganzes Netz von Ölraffinerien gebaut und entwickelt werden. Das erste Projekt, das chinesische Kernkraftwerk Tianjin, ist bereits unter Dach und Fach. Vereinbart wurde der Kauf von zwei russischen Kernreaktoren für Tianjian, den modernsten Kernkraftwerk-Komplex in China.

Auch der Export russischer Kohle nach China wird voraussichtlich 2010 über 12 Millionen Tonnen erreichen und in Zukunft weiter steigen.

Chinesische Ölgesellschaften investieren in die Nachrüstung russischer Projekte zur Exploration, Entwicklung und Verarbeitung von Erdöl, in Joint Ventures mit staatlichen und privaten russischen Unternehmen. Die Inbetriebnahme einer russisch-chinesischen Pipeline ist für Ende 2010 geplant.

Noch nicht abgeschlossen sind Preisverhandlungen über russisches Gas, das nach China geliefert wird; doch auch hier wird in den nächsten Monaten eine Einigung erwartet. Russland verlangt für das von Gazprom gelieferte Gas denselben Preis, der auch europäischen Kunden in Rechnung gestellt wird; Peking fordert einen Preisnachlass.

Große Industrie-Entwicklungsprojekte

Auf der Liste stehen auch gemeinsame industrielle Investitionen in den entlegenen Regionen entlang der 4200 km langen Grenze zwischen Sibirien und dem Fernen Osten Russlands und der chinesischen Region Dungbei. Dort hatte die Sowjetunion in den 1950er und 1960er Jahren, vor dem Bruch mit China, Hunderte Fabriken der Leicht- und Schwerindustrie gebaut. Diese sind in der Zwischenzeit modernisiert und mit neuer chinesischer oder importierter Technik ausgerüstet worden, aber das solide industrielle Fundament aus der Sowjetära besteht noch. Dies wird nach Auskunft russischer Analysten zu regionaler Zusammenarbeit auf einem höheren technischen Niveau beitragen, besonders zwischen den Distrikten Chabarowsk und Primorye sowie den Regionen Chita und Irkutsk, dem Gebiet Transbaikal und ganz Sibirien sowie auf chinesischer Seite der Provinz Heilongjiang und anderen Provinzen.2

2009 haben sich China und Russland außerdem ein bis 2018 terminiertes Programm für die gemeinsame Entwicklung Sibiriens und des Fernen Ostens sowie den nordöstlichen Provinzen Chinas geeinigt. Es umfasst Dutzende von Kooperationen zwischen bestimmten Regionen zur Entwicklung von 158 Industrieanlagen im russisch-chinesischen Grenzgebiet, vor allem von Betrieben der Holzverarbeitung und der chemischen Industrie, beim Straßenbau, der sozialen Infrastruktur und Landwirtschaft sowie mehrere Projekte für den Export von Energie.

Die Russlandreise von Premierminister Wen folgte auf den dreitätigen China-Besuch des russischen Präsidenten Medwedew im September, bei dem dieser gemeinsam mit Präsident Hu Jintao das lange geplante grenzüberschreitende Pipeline-Projekt von Skoworodina in Ostsibirien nach Daqing in Nordost-China in Gang gebracht hatte. Ende 2010 wird erstmals russisches Öl nach China fließen, und zwar mit einer Rate von 300.000 Barrel pro Tag. Der im vergangenen Jahr geschlossene Liefervertrag hat eine Laufzeit von 20 Jahren und ein Volumen von 20 Milliarden Euro.

Russland strebt an, auf den schnell wachsenden asiatischen, besonders den chinesischen Energiemarkt vorzustoßen; Peking will die Energiesicherheit erhöhen, indem Quellen und Versorgungsrouten diversifiziert werden. Durch die neue Pipeline wird sich der Export von russischem Öl nach China, der bisher über eine langsame und teure Eisenbahnroute erfolgt, verdoppeln. Russland wird damit neben Saudi-Arabien und Angola zum dritten wichtigen Rohöl-Lieferanten für China – für beide Seiten ein wichtiger geopolitischer Gewinn.

Bei einer Pressekonferenz in St. Petersburg erklärte Premierminister Wen, die Partnerschaft zwischen Peking und Moskau habe eine »nie dagewesene Ebene« erreicht; er gelobte, dass beide Länder »nie zum Feind des anderen« werden sollten. Seit dem chinesisch-sowjetischen Bruch während des Kalten Krieges ist Washingtons Geopolitik darauf gerichtet, einen Keil zwischen die beiden Staaten zu treiben und damit ihren Einfluss über den weiten eurasischen Raum auszuhebeln.

Wie ich bereits in früheren Beiträgen betont habe, bleibt Russland allen wirtschaftlichen Problemen zum Trotz die einzige Macht, die gegenüber Washington über eine glaubwürdige nukleare Abschreckung verfügt. Davon ist die militärische Macht Chinas, die ja hauptsächlich zur Selbstverteidigung aufgebaut wurde, noch Jahre entfernt. Die einzige Wirtschaftsmacht, die die schwindende wirtschaftliche Macht der USA herausfordern kann, ist China. Offenbar hat man verstanden, wie gut sich beide ergänzen. Vielleicht wird Wikileaks demnächst peinliche Details über diese Zusammenarbeit »aufdecken«, die Washingtons geopolitischen Absichten entgegenkommen. Für den Augenblick jedoch bedeutet die wachsende Wirtschaftskooperation zwischen China und Russland für Washington den schlimmsten geopolitischen Albtraum, und das genau zu dem Zeitpunkt, wo der weltweite Einfluss Washingtons schwindet.


1 Sergei Luzyanin, Russian Chinese economic cooperation serves the longterm domestic goals, RIA Novosti, 26. November 2010, unter http://en.rian.ru/valdai_op/20101126/161505920.html

2 Ebenda

 

Cina e Russia, addio al dollaro tra politica ed economia

Cina e Russia, addio al dollaro tra politica ed economia

Yuan e rubli negli scambi bilaterali. Paolo Manasse: "Ricerca di stabilità e di autonomia da Washington. Ma non è guerra delle valute"

Cina e Russia hanno deciso di effettuare le transazioni commerciali bilaterali nelle proprie valute (yuan-renminbi e rublo), rinunciando al dollaro come moneta universale di scambio.
L'anno scorso, il commercio tra i due Paesi è stato stimato attorno ai quaranta miliardi di dollari. Si pensa che a fine 2010 ammonterà a sessanta miliardi.
Nell'accordo siglato da Vladimir Putin e Wen Jiabao a San Pietroburgo il 24 novembre, molti hanno visto un capitolo di quella "guerra delle valute" che agita sia i mercati finanziari sia la geopolitica mondiale, con il rinnovato interesse dell'amministrazione Obama per l'Estremo Oriente e la crescita record della Cina, nuova superpotenza.
PeaceReporter ha chiesto un parere a Paolo Manasse, professore di Macroeconomia e di Politica Economica Internazionale all'Università di Bologna, docente di Macroeconomia all'Università Bocconi di Milano.

Come si spiega la decisione di Russia e Cina?

C'è un motivo economico e ce ne è uno politico.
Dal punto di vista economico, siamo in un periodo di volatilità dei cambi legato alla crisi. Quando si parla di volatilità, ci si riferisce soprattutto al rapporto tra euro e dollaro. La Russia ha un grande volume di scambi con l'Europa, idem la Cina che ce l'ha anche con gli Usa, quindi sono esposte ai rischi di questa volatilità. E' probabile che almeno nello scambio bilaterale vogliano tutelarsi dai rischi di cambio delle valute, utilizzando le proprie.
L'aspetto politico sta nel fatto che soprattutto la Cina, così facendo, afferma la propria sovranità anche valutaria, mostrando di poter fare a meno del dollaro, cioè contrastando il privilegio tutto statunitense di battere moneta. Può essere letto in chiave di sfida.

C'entra con la cosiddetta "guerra delle valute"?

La guerra delle valute dura da anni. Muove dall'accusa Usa secondo cui la Cina terrebbe la propria moneta artificialmente bassa per guadagnare competitività. Nei meccanismi di mercato, alla domanda molto alta di merci cinesi dovrebbe corrispondere anche una domanda molto alta di yuan per pagarle. La conseguenza naturale dovrebbe essere la crescita di valore della moneta cinese e il deprezzamento del dollaro. Qui invece interviene la banca centrale cinese comprando dollari e vendono yuan per calmierarne il prezzo. Le conseguenze sono il valore basso dello yuan e un accumulo di dollari nelle riserve cinesi.
E' comunque una faccenda che riguarda soprattutto gli Usa, perché sono loro ad avere un enorme deficit commerciale con la Cina. L'Europa molto meno.
Tecnicamente, la scelta di Russia e Cina non c'entra molto con la guerra delle valute.
Anzi, potrebbe avere come effetto la riduzione della domanda di dollari e quindi l'indebolimento della valuta Usa. Chiaramente, non è scontato che ci sia un simile effetto, dipende da quali saranno i volumi degli scambi tra Cina e Russia. Ma comunque l'accordo non può essere visto come un tassello della guerra delle valute.

C'è anche il tentativo di diversificare le proprie riserve valutarie, riducendo la parte in dollari?

Il monopolio del dollaro come moneta di riserva [cioè la valuta con cui le banche centrali dei diversi Paesi accumulano le proprie riserve, date generalmente dal surplus commerciale, ndr] è già finito con l'avvento dell'euro. In genere le banche centrali tengono un portafoglio abbastanza bilanciato, diversificato, per evitare che fluttuazioni nel mercato dei cambi provochino problemi. Non si punta mai al cento per cento su una sola valuta.
In questo caso, mi sembra che si punti più a evitare l'impatto delle fluttuazioni sulle transazioni, sul commercio. A parte la valutazione politica, certo, cioè l'affermazione di indipendenza da parte della Cina.
Se un cinese esporta merci facendosi pagare in dollari o euro, e una delle due monete crolla, ci perde un sacco di soldi. Dal momento in cui si fanno le transazioni al momento in cui vengono liquidate, si rischia. Di solito ci si assicura con il mercato a termine: uno vende i dollari di domani a un prezzo che conosce oggi. Ma se fa gli scambi con la moneta nazionale, ha risolto il problema alla radice.

Gabriele Battaglia

Ungarn wird herabgestuft

Ungarn wird herabgestuft

Michael Grandt

Ex: http://info.kopp-verlag.de/

 

Der langsame Zerfall der EU geht weiter: Die Ratingagentur Moody’s senkte heute die Kreditwürdigkeit von Ungarns Staatsanleihen auf knapp über den Ramschstatus.

 

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Die Ratingagentur Moody’s hat das Rating des osteuropäischen Landes heute auf gerade mal »Baa3« gesenkt. Damit liegt die Bewertung von Ungarns Anleihen nur noch eine Note über dem »Ramschstatus«.

Moody’s begründet den Schritt mit den langfristigen haushaltspolitischen Problemen des Landes, das zudem für externe Risiken anfällig sei: »Die Herabstufung hat vor allem mit dem zwar langsamen, aber deutlichen Verlust an Finanzkraft der ungarischen Regierung zu tun« heißt es wörtlich. Auch die Konsolidierungsstrategie der Regierung sehe vor allem temporäre Maßnahmen vor, aber wenig Vorschläge für eine nachhaltige Sanierung. Nach Ansicht der Ratingagentur könnten weitere Herabstufungen folgen, wenn Ungarn es versäumt, seine finanzielle Stärke wieder herzustellen.

Volkswirte sind seit Längerem darüber besorgt, dass eine Zuspitzung der desaströsen Lage in Ungarn, das erst 2004 der EU beibetreten ist, auf die gesamte osteuropäische Region Einfluss nehmen könnte. Die größten Gläubiger der maroden ungarischen Banken sind Österreich mit einem Volumen von rund 37 Milliarden US-Dollar und Deutschland mit 30,8 Milliarden US-Dollar. Der deutsche Steuerzahler kann sich also schon auf die nächste Milliarden-Unterstützung einstellen.

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Quelle: wirtschaftsblatt.at

 

 

mardi, 07 décembre 2010

Wikileaks und ein kleiner Leckerbissen

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Wikileaks und ein kleiner Leckerbissen

Die globale Jagdsaison wurde mit der Abschuß-Freigabe eines  exotischen  Zweibeiners aus dem fernen Australien bereichert. Unzählige Kopfjäger sind mittlerweile auf der Pirsch  um Julian Assange  zu erlegen. So viel Jagdlust  wegen herrscht in den meisten Medien, anders als wenn einem Asylbetrüger ein nicht verbrieftes Recht verweigert wird, erstaunlich wenig  Empörung, aber umso mehr Vorverurteilung. Und nebenbei  Aufregung darüber, daß Assange den Rücktritt der US-Außenministerin verlange. Das sei  „Größenwahn“, diagnostiziert ein heimisches Blatt, das selbst schon einmal den einen oder anderen Ministerrücktritt  gefordert hat.                                                                                                 

Frau Clinton zeigt sich übrigens besorgt, der USA Bemühen „um eine bessere Welt“ könnte  durch Wikileaks unterminiert werden..  Oh, mein Gott!  Aber sie mag unbesorgt sein, Washington kann sich auf seine Freunde in Europa schon noch verlassen. Selbst Österreichs Außenminister wird ihr kaltes Pfötchen zu wärmen wissen. Auch wenn es umgekehrt nicht ganz so warm zurückkommt.                                                                       

„Wer wird uns noch vertrauen“ fragt also  besorgt der neokonservative  Falke Charles Krauthammer in der „Washington Post“, um dann auszuführen, daß dieser Assange doch weit gefährlicher sei, als etwa  jene deutschen Saboteure, die unter Roosevelt exekutiert wurden. So viel Anerkennung wird der Australier , dem eine gewiße Eitelkeit nachgesagt wird,  vielleicht gar nicht erwartet haben.

Doch nicht wegen der freigegebenen Dokumente, die in vielen Fällen die zwischenstaatlichen Beziehungen beeinträchtigen  – wie im Fall Jemen, wo dessen Präsident beklagt, daß die US-Boys und nicht die eigene  Flugzeuge Al  Qaida-Stellungen bombardieren dürfen – sondern wegen eines angeblichen Sexualdeliktes wird der Wikileaks-Gründer  von der  schwedischen Justiz  per internationalem Haftbefehl  verfolgt. Doch noch ehe überhaupt ein Gramm der Vorwürfe, er habe zwei Frauen  sexuell belästigt und vergewaltigt, Beweiskraft erlangt hat, wird die betreffende Anklage  von  unseren Medien genüßlich ausgebreitet.                                                                                            

Interessant an der Sache ist allerdings,  daß er gleich zwei Frauen auf einmal vergewaltigt haben soll, und dieselben keineswegs an Demenz leidenden Damen eine ganze Woche gebraucht haben, um den Weg zur Polizei zu finden. Ob ihnen da nicht doch irgendein internationaler Pfadfinder behilflich gewesen ist?  Bei einem  80 Milliarden Dollar-Hilflosenzuschuß  an die US-Geheimdienste, muß sich doch ein geeigneter Lotse finanzieren lassen können.

Nun, unabhängig davon, wie groß der Schaden für das Ansehen Amerikas und dessen „Verteidigungsanstrengungen“  nun wirklich ist und unabhängig davon, ob an der Vergewaltigungs-Sache etwas daran ist, ergeben  sich doch einige interessante Einblicke und Aussichten. Da  wäre  die von mir bereits in einem anderen Kommentar angeführte unerfreuliche Entwicklung hin zum gläsernen Bürger. Diesbezüglich  hat man nämlich  von Seiten der auf ihre eigene Freiheit eingeschworenen Obrigkeit absolut keine Bedenken. Jetzt aber, wo Regierungen oder deren Diplomaten ins Rampenlicht gezerrt werden, ist plötzlich Feuer am Dach. Gilt etwa nur mehr das Motto, der Einzelne ist nichts, der Machtapparat ist alles?                                                                                                                  

Die Eile, mit der der „selbsternannte Ober-Gutmensch“ („Krone“) gefangen werden soll, hat  möglicherweise nicht nur damit zu tun, daß weitere Dokumente folgen könnten. Ohne Zweifel wird man sich auch Gedanken darüber gemacht haben: Sein Fall und die außerordentliche Publizität könnten irgendwann gefährliche Nachahmer auf den Plan rufen. Potentielle neue Aktenüberbringer bzw. Spione werden ja trotz neuer Sicherheitsmaßnahmen nicht zu verhindern sein. Märtyrer für eine „gerechte Sache“ müssen dann nicht unbedingt nur mehr aus dem islamistischen Lager kommen.                   

Zum Schluß noch ein kleiner Leckerbissen:  Aus den Dokumenten  der US-Botschaft in Algier geht hervor, daß der CIA-Vertreter in der algerischen Hauptstadt zwei algerische Frauen vergewaltigt haben soll. Wird dieser jetzt auch mit einem internationalem Haftbefehl gesucht?

lundi, 06 décembre 2010

Buitenlanders als remedie tegen krapte op arbeidsmarkt

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Ex: http://trends.rnews.be/nl/economie/nieuws/

Buitenlanders als remedie tegen krapte op arbeidsmarkt

Tussen nu en 2014 verlaten 300.000 Vlamingen de arbeidsmarkt. Activering van
werklozen en gerichte opleiding volstaan niet om ze te vervangen, zeggen
experts.

© belga

Extra buitenlandse werknemers zijn nodig, maar het debat over het
asielbeleid overschaduwt de discussie over de noodzaak van economische
migratie.

De asielcrisis heeft het migratiedebat meer en meer verengd tot wat men
humanitaire migratie noemt. Aandacht voor arbeidsmigratie is er amper. “De
discussie over regularisaties en naturalisaties heeft het debat over
economische migratie ondergesneeuwd”, zegt Anton Van Assche van Unizo,
“Terwijl veel werkgevers om arbeidskrachten blijven smeken.”

Ondanks de recessie is het aantal openstaande vacatures bij de verschillende
arbeidsbemiddelingsdiensten (VDAB, Forem en Actiris) opgelopen tot meer dan
70.000 in totaal. Werkgevers en arbeidsmarktspecialisten verwijzen ook naar
de recente studie van de Leuvense hoogleraar Luc Sels. Die voorspelt dat er
de komende vier jaar 300.000 Vlamingen de arbeidsmarkt verlaten. Die moesten
allemaal vervangen worden. Een deel van het probleem kan worden opgelost
door beleidsmaatregelen als het ontmoedigen van vervroegde uittreding, maar
dat is niet voldoende.
“Dagelijks zijn er bedrijven wier activiteiten onder druk komen te staan
omdat ze geen personeel vinden. Wij zoeken die werkkrachten in landen van
waaruit we ze op een ethisch verantwoorde manier naar hier kunnen halen”,
zegt Jan Denys van Randstad. “ Maar het asieldebat maakt een objectieve
analyse zeer moeilijk. Alles valt onder dezelfde noemer terwijl wij pleiten
voor noodzakelijke migratie. Economische migratie maakt trouwens slechts 15
procent van alle migratiestromen uit.”

In België staat de linkerzijde huiverig tegenover arbeidsmigratie. Een
partij als de PS legt vooral de nadruk op het humanitaire aspect. Tegelijk
bestaat er een groot wantrouwen tegen economische migratie die de lonen
onder druk zou zetten en deloyale concurrentie betekent voor de Belgische
werkzoekenden. Onderzoek wijst nochtans uit dat migratie geen negatief
effect heeft op de tewerkstelling en de lonen niet onder druk zet.

Critici van economische migratie beweren ook dat werkgevers enkel
geïnteresseerd zijn hooggeschoolde migratie, maar die ontkennen dat. Wel
benadrukken ze dat de kansen van bijvoorbeeld asielzoekers op onze
arbeidsmarkt klein blijven. Een op de vijf leefloners zijn niet-EU-burgers.
Van de niet-EU-burgers is in België 30 procent werkloos, het hoogste cijfer
van de EU. Uit een studie van het CSB die werd uitgevoerd na de grote
regularisatie van 2000, bleek dat maar de helft van de geregulariseerde
nieuwkomers werk had gevonden. Nochtans zijn velen onder hen hooggeschoold.
Denys: “De verschillende regularisatiegolven veroorzaakten een aanzuigeffect
maar veel van die mensen zullen het blijvend moeilijk hebben op de
arbeidsmarkt.”

A.M.

samedi, 04 décembre 2010

A. Latsa: un autre regard sur la Russie

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"Un autre regard sur la Russie"
par Alexandre Latsa*

Depuis que je réside en Russie, il m’est souvent arrivé, lors de discussions avec mes amis russes, d’aborder le sujet du niveau de vie et aussi de la pauvreté. Bien sûr ce sujet est essentiel: tout le monde souhaite bien et en général mieux vivre qu’avant.

La mondialisation, grâce à la télévision et internet a permis à toute la planète de contempler et de souhaiter le niveau de vie jugé idéal: le niveau de vie occidental. Récemment dans la rubrique "Opinions des lecteurs" d’un journal russe, il était demandé à des étudiants quelle question ils souhaiteraient poser au président Medvedev. Une jolie étudiante, âgée de 23 ans avec des grands yeux d’écureuil posait la question suivante: "Dimitri Anatolievitch, quand allons-nous enfin bien vivre?".

En Russie, le salaire moyen est d’approximativement 500 euros par mois en 2009 et de 1.000 euros par mois à Moscou. Ces chiffres sont assez déconcertants pour qui connaît le coût de la vie dans ce pays. Cependant, je dis souvent à mes amis que ces salaires moyens sont pourtant déjà bien supérieurs à ceux d’Etats de l’Union Européenne tels que la Roumanie (350 euros) ou la Bulgarie (150 euros).

La Russie, sur le papier, se situerait pour l’instant sous le niveau estonien (700 euros) ou polonais (875 euros). Evidemment, la Roumanie et l’Estonie, ce n’est pas la France. Il est vrai que le salaire moyen en France s’élève à 1.800 euros. En plus me rétorquent-ils le coût de l’immobilier en Russie (qui est un réel problème national) dépasse les niveaux de prix français! Bien sûr, ils semblent avoir raison d’un point de vue purement mathématique.

Pourtant d’autres indicateurs économiques sont plus flatteurs pour la Russie. Prenons par exemple la pauvreté. Celle-ci a reculé de moitié en dix ans, la part des Russes vivant sous le seuil de pauvreté ayant diminué de 29 à 15% de la population entre 2000 et 2009.
En France, le taux de pauvreté, qui était de 6,2% de la population en 2001 à la veille du passage à l’euro atteint aujourd’hui 13,7%. La moitié des Français en 2009 vit avec moins de 1.500 euros par mois, ce qui en France n’est vraiment pas beaucoup. Autre indicateur, le chômage. Celui-ci touche aujourd’hui 7% de la population active en Russie, alors qu’il avoisine 12% en France et presque 25% pour les moins de 24 ans.

Enfin, peut-on réellement comparer les niveaux de vie?

Il n’est pas du tout évident que 500 euros à Omsk confèrent moins de pouvoir d’achat que 1.500 euros à Bordeaux. Autre exemple, est-on plus riche à Paris qu’à Moscou avec, disons, 1.000 euros? Assurément non. En 2009, selon la Banque mondiale, la Russie se classait même devant la France pour le pouvoir d’achat par devise nationale.

Mais ces statistiques ne veulent pas tout dire. En France, par exemple, elles sont maquillées par des concepts comme la précarité, le temps partiel ou le surendettement qui explosent depuis quelques années et sont très significatifs du mal-être général. Alors bien sûr la France, via son généreux système d’aide sociale, ne laisse pas sans assistance financière les gens sans ressources ou les chômeurs.

C’est encore vrai aujourd’hui mais le débat sur le coût d’un tel système (déficitaire de 23 milliards d’euros en 2010) est désormais lancé et il est plausible que la crise économique signe la fin de l’Etat providence ("Etat providence " désigne la forme prise par l'intervention de l'État dans la vie économique et sociale-ndlr.) à la française.

Que se passera-t-il alors que l’Etat ne "peut pas" donner du travail à tous ces gens? Les Russes savent-t-ils que le niveau d’endettement de l’Etat français est tel que chaque nouveau né doit déjà 25.000 euros? En Russie a contrario, il est encore fréquent que les revenus réels soient plus élevés que les salaires, de nombreux Russes cumulant une seconde activité en parallèle à leur travail principal.

Cela est, malgré tout, possible dans une économie suffisamment souple et suffisamment dynamique, comme l’est la Russie. Une économie sans dettes mais avec des réserves financières massives. Les prévisions de croissance en Russie pour les deux ou trois prochaines années sont les plus élevées d’Europe et feraient rêver n’importe quel gouvernement de la zone Euro. Il semble donc que la Russie soit sur une phase ascendante, pendant que de nombreux pays européens, comme la France, soient dans une phase plutôt descendante.

Imaginons que durant les dix prochaines années, la situation perdure, que les niveaux de " salaires " continuent à augmenter en Russie et la pauvreté à diminuer, tandis que le phénomène inverse se passe en France. Dès lors mes amis russes dans 10 ans tiendront t-ils le même discours?

Pour ma part, il me semble que l’évaluation du niveau de vie n’est pas définissable seulement par des indicateurs économiques linéaires. Cette sensation que l’avenir sera meilleur que le passé fait qu’il est devenu possible pour les Russes de ne plus regretter le passé, mais également de ne plus craindre l’avenir. A l’inverse, les Français qui ont connu l’insouciance des "Trente Glorieuses" (cette période d’embellie économique allant de 1945 au choc pétrolier de 1973) ne cessent d’en parler comme d’un âge d’or, révolu. La dégradation de la situation économique, sociale et identitaire a fait que les Français aujourd’hui ne sont plus sereins face à l’avenir.

Samedi soir, en allant dîner dans un restaurant de mon quartier, Rio Grande, je me suis plongé dans ces réflexions en observant les clients. Sur des morceaux de rock russe des années 1970 repris par un duo talentueux, les habitués dansaient, indépendamment de leur âge et de leurs origines sociales, pourtant très variées.

Je précise que j’habite dans un quartier excentré, un "spalniy rayon" classique au bout d’une ligne de métro. Finalement les gens avaient l’air relativement heureux et insouciant et j’en suis arrivé à la conclusion que le sentiment global de sécurité et de confiance est un indicateur fondamental du réel niveau de vie. Selon cet indicateur-là, les Russes en 2010 sont sans aucun doute parmi les premiers au classement européen.

"Un autre regard sur la Russie": Mistral gagnant

* Alexandre Latsa, 33 ans, est un blogueur français qui vit en Russie. Diplômé en langue slave, il anime le blog DISSONANCE, destiné à donner un "autre regard sur la Russie".

vendredi, 03 décembre 2010

Jeudi 16 décembre: Marc Rousset au Centre Charlier

Jeudi 16 décembre :

Marc Rousset au Centre Charlier...

Le Centre Charlier organise une conférence avec  

 

Marc Rousset (*)

Docteur en Sciences économiques

 

sur le thème :

 La nouvelle Europe,

l’axe Paris-Berlin-Moscou

 

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Jeudi 16 décembre 2010

à 19 h 30  

au Centre Charlier,

70, Boulevard Saint-Germain 75005 PARIS

(métro Maubert-Mutualité)

 

La conférence sera suivie du traditionnel buffet

L’auteur dédicacera son ouvrage

« La nouvelle Europe : l’axe Paris-Berlin-Moscou »

paru aux éditions Godefroy de Bouillon

 

Participation aux frais : 8 €

Étudiants, chômeurs : 4 €

 

(*) Marc Rousset collabore régulièrement à la revue Synthèse nationale.

 

 

Un coup d'Etat civil pro islamique à Ankara...

Un coup d'État civil pro islamique à Ankara...

Par Jean-Gilles Malliarakis

Ex: L'Insolent

  

Les conséquences de la réunion de l'Otan à Lisbonne directes et indirectes, ne manquent pas de se faire sentir. Et cela commence par l'un des principaux alliés, la Turquie. Les années 1946-1950 avaient vu la mise en place, dans ce pays, de gouvernements démocratiques formellement civils. Plusieurs coups d'État les ont renversés successivement. Or pour la première fois depuis 60 ans, deux ministres (1) ont pris la décision d'y mettre à pied trois généraux. (2) Ceux-ci se trouvent impliqués dans le cadre du complot Bayloz remontant à 2003. Le chef du parti laïc de gauche CHP soutient de façon significative les trois putschistes, qui font appel aux tribunaux spéciaux. Cela s'est produit la semaine écoulée, qui suivait immédiatement la rencontre de l'alliance occidentale.

S'agissant de tout autre pays, on trouverait cette situation critique du point de vue journalistique et conjoncturel. L'événement serait couvert de façon dramatique par les gros moyens d'information. Et on jugerait aussi cette normalisation, sur le fond, parfaitement conforme aux principes de la gouvernance mondiale.

Il n'en va pas de même dans une société où l'élément militaire joue, ou plutôt jouait jusqu'à une date très récente, un rôle central dans tous les réseaux de pouvoir. Rappelons ainsi que le poids économique de la couche dirigeante de l'armée issue du kémalisme, en fait le principal partenaire apprécié en France par les milieux se disant de gauche et non moins laïcistes.

Les dirigeants civils, eux-mêmes disciples de l'islam moderniste (3), ont obtenu à Lisbonne de la part des Américains et des autres alliés une concession qu'ils jugent essentielle. On leur a accordé que l'Iran ne soit pas explicitement mentionné comme adversaire dans le cadre de la mise en place du bouclier anti-missiles de l'Alliance atlantique. Dans ce contexte, ils se sentent en mesure de rogner un peu plus les prérogatives des militaires laïcs.

On pourrait donc aboutir au renversement complet du rapport de forces établi par les jeunes-turcs en 1909, puis par le kémalisme en 1923, un concept paradoxal : un "coup d'État" civil.

En apparence, formellement, si cette évolution aboutit, elle ne rencontrera que des approbations, au moins dans un premier temps, sur la scène internationale.

Pour le moment d'ailleurs un seul pays, pratiquement, semble s'y opposer, émettre des réserves, agiter et alerter plus ou moins discrètement ses propres éléments d'influence. Il s'agit de l'État qui avait tissé depuis le début des années 1950 des liens très solides de coopération avec l'armée d'Ankara. Pour le moment, en effet, le gouvernement israélien actuel redoute à plus ou moins juste titre une coalition régionale des pays musulmans. Ceci ne s'était jamais produit depuis la fondation d'Israël. L'État hébreu, de guerre en guerre, et pendant ces périodes intercalaires que l'on appelle, un peu imprudemment peut-être, "la paix" avait toujours su séparer les deux puissances musulmanes régionales non arabes, l'Iran comme la Turquie, et s'employer efficacement à diviser les Arabes entre eux. Sur ce dernier terrain il n'a pas rencontré trop de difficultés.

Dans sa chronique de Zaman Today du 27 novembre M. Ergun Babahan prend à cet égard à partie l'ancien ambassadeur américain en Turquie M. Eric Edelman. Il en fait à la fois le porte-parole à Washington d'une certaine coulisse et il l'accuse de "vivre dans un monde virtuel", de se montrer "coupé du réel". Le vrai reproche porte sur l'évaluation de la durée, que ses partisans jugent illimitée, du gouvernement turc actuel.

De ce dernier point de vue nous ne disposons à vrai dire d'aucune boule de cristal. Nous les laissons au Quai d'Orsay. Contentons-nous des faits.

Lors de la sortie très spectaculaire de Erdogan à Davos en janvier 2009, puis encore lors des incidents de la flottille Mavi Marmara en mai 2010, on a pu remarquer que le gouvernement d'Ankara ne craignait pas désormais de s'aliéner les réseaux pro-israéliens du monde entier. Aux Etats-Unis, où il réside, remarquons d'ailleurs que Fethullah Gülen tient des propos apaisants. Certains observateurs mal informés ou naïfs, comme M. Gurfinkel dans Valeurs actuelles, les prennent ou tentent de les faire prendre à leurs lecteurs pour argent comptant.

Or, désormais, le quotidien officieux Zaman est monté d'un cran dans la séparation : on y met en accusation l'influence sioniste en Amérique du nord. Personne ne peut croire inconscients de la gradation, les professionnels de la communication qui fabriquent ce journal, très proche du pouvoir et techniquement très bien fait. Y compris dans l'usage des mots, il ne nomme plus d'ailleurs désormais ses adversaires pour "sionistes", il revient à un registre sémantique qui servait beaucoup à la charnière des XIXe et XXe siècles.

Or, parallèlement, les dirigeants d'Ankara haussent également le ton dans leurs négociations avec l'Europe. Ils jugent en effet que la défense du continent a été confirmée ces dernières semaines comme dépendant intégralement du bon vouloir de Washington. Plusieurs longues analyses officieuses confirment ce fait, pour tout observateur lucide, malheureusement évident. (4) Il semble pour nous humiliant, mais pour les Turcs réconfortant, que l'Union "européenne", les guillemets me paraissent désormais s'imposer, persiste à ne penser son destin qu'en tant que grosse patate consommatique.

Représentée au plan international par les glorieux Barroso, Van Rompuy et Lady Ashton l'organisation bruxelloise des 27 petits cochons roses se préoccupe plus de sauver ses banquiers que de défendre ses ressortissants.

Le projet "Eurabia" a été décrit (5) comme préparant pour les prochaines décennies, au nord de la Méditerranée la situation de dhimmitude que subissent depuis des siècles les chrétiens d'orient. Ce processus de domestication des peuples par la trahison de leurs élites économiques semble donc en bonne voie.

Les ennemis de la liberté si actifs contre notre continent s'y emploient dans les coulisses de Bruxelles.

En professionnels de la conversion par conquête, je ne doute pas que les islamistes turcs observent leurs proies, qu'ils l'hypnotisent par leurs mots d'ordre et qu'ils se régalent de leurs faiblesses. On peut cependant encore s'y opposer. (6)

 

Notes

 

1.                   Il s'agit des ministres de l'intérieur Bechir Atalay et du ministre de la Défense Vecdi Gönül

2.                   Les militaires limogés sont un général de gendarmerie, du général Abdullah Gavremoglou et du major Gürbüz Kaya.

3.                   Nous donnons à ce sujet quelques précisions dans L'Insolent du 23 novembre "Les dirigeants turcs vrais islamistes et faux bisounours".

4.                   cf. les analyses publiées dans Zaman les 24 et 27 novembre

5.                   cf. le livre de Bat Ye'or "Eurabia, the Euro-Arab Axis" 2005 ed. Farleigh Dickinson University Press, version française "Eurabia, l’axe euro-arabe" 304 pages 2006 éd. Jean-Cyrille Godefroy.

6.                   J'aurais le plaisir de signer mon livre "La question turque et l'Europe" au prochain salon du livre d'Histoire le dimanche 5 décembre. Mais vous pouvez aussi dès maintenant l'acquérir directement sur le site des Éditions du Trident. Rappel : il est plus courtois vis à vis des organisateurs, pour les personnes qui se rendraient à ce salon d'acquérir les ouvrages sur place.

jeudi, 02 décembre 2010

La zone euro aux mains des spéculateurs

La zone euro aux mains des spéculateurs

Ex: http://fortune.fdesouche.com/

La crise des monnaies européennes n’est pas terminée. La difficulté est d’enrayer la contagion, voulue par les spéculateurs, qui s’attaquent maintenant au Portugal et à l’Espagne…

Ça commence toujours de la même manière. Le matin, le Premier ministre exclut « absolument » toute intervention extérieure, assurant que son pays s’en sortira tout seul, avant d’accepter l’intervention de l’Union européenne et du Fonds monétaire international (FMI). Et le soir, il est à la table des négociations. Vendredi, ils étaient deux dans le rôle de ceux qui n’ont besoin de personne : José Luis Zapatero, le chef du gouvernement espagnol et José Socrates, son homologue portugais.

L’inquiétude est contagieuse. Les États ne sont pas différents des ménages. Confiants, ils financent l’avenir en empruntant et comptent sur la croissance économique pour rembourser. Quand la croissance manque, la confiance s’en va.

Pourquoi ce jeu de dominos ?

 

Pour l’Irlande, la confiance s’est envolée avec la croissance (5 % par an entre 2000 et 2007). La récession dure depuis trois ans maintenant et fait craindre le pire. Un investisseur analyse la situation, conclut à un risque de défaillance et le premier domino tombe…  Si un domino tombe, la question se pose pour les autres. Hier, l’alerte se portait sur le Portugal et sur l’Espagne. A Lisbonne, comme à Madrid, on assurait qu’il n’y avait pas de souci, qu’on allait s’en sortir tout seul… Une attaque de l’Espagne poserait un problème d’une tout autre ampleur : plus que la Grèce, l’Irlande et le Portugal réunis. Avec elle, on entrerait dans la cour des grands d’Europe avec l’Italie, le Royaume-Uni ou… la France.

Pourquoi refuser l’aide avant de l’accepter ?

Question de standing et de souveraineté. Pour ne pas apparaître comme un nécessiteux. La honte qui tombe sur le gouvernement annonce des élections difficiles à l’avenir. Et puis accepter l’aide c’est accepter les contreparties. Il faut en général réformer, non plus sous l’œil de Moscou, mais sous le regard attentif de Bruxelles (UE) et de Washington (FMI). Adieu la souveraineté.

Pourquoi l’Euro baisse-t-il ?

La valeur d’une monnaie reflète la confiance que l’on a en elle. Elle s’apprécie quand les investisseurs estiment qu’elle va s’orienter à la hausse et, inversement, elles se déprécient quand on craint qu’elle perde sa valeur. En ce moment, le fonctionnement de la zone euro inquiète, l’euro ne semble plus être la meilleure manière de se protéger contre une perte de valeur de ses économies. On préfère vendre. D’autres vont faire pareil… Jusqu’à ce que la confiance revienne.

Quel est le prix de la défiance ?

Un état qui emprunte à dix ans paye, exactement comme un ménage, un taux d’intérêt qui reflète la confiance que lui accordent les investisseurs. Si la Suisse veut emprunter actuellement elle doit accorder un taux d’intérêt de 1,5 %. L’Allemagne doit accepter de payer un taux de 2,7 %, la France de 3,13 % et le Royaume-Uni de 3,34 %. Mais quand l’Irlande emprunte, elle doit payer 9 % et la Grèce 12 %. Des taux usuraires, ingérables à moyen terme. Là encore la mécanique est la même que pour les particuliers : on ne prête qu’aux riches.

Pourquoi est-ce la curée ?

Chaque jour un État se présente sur les marchés financiers pour trouver des moyens de financer ces dépenses. Il échange des obligations, ce que l’on appelait les emprunts d’État, contre des liquidités. Quand la peur de voir un État fait défaut se profile, plus personne ne vient acheter des titres qui n’inspire plus confiance. Quand la crainte se propage il faut intervenir rapidement pour retrouver du crédit. Alors on appelle l’UE et le FMI.

Qui sont les « investisseurs » ?

Ce sont les gestionnaires de fonds, c’est-à-dire les grandes banques de la planète, qui gèrent l’épargne collectée auprès des entreprises, dont la trésorerie est positive, celle des pays qui engrangent des réserves de devises ou les particuliers. Le premier investisseur est aujourd’hui la Chine, qui dispose de 2.000 milliards d’euros pour intervenir ou bon lui semble, mais pas à n’importe quel prix. Personne, ni les banques, ni les pays, ni les particuliers, n’a envie de perdre sa mise. D’où un taux d’intérêt qui augmente quand la confiance dans le pays diminue.

Comment agissent les spéculateurs ?

Ils se focalisent sur un pays réputé fragile, prennent des positions financières à la baisse, suscitent des rumeurs et des articles de presse alarmistes (en particulier dans les journaux économiques britanniques et allemands, considérés les plus crédibles) et rachètent les obligations d’État dès qu’elles ont assez baissé. Comme tout se passe a crédit, ils peuvent gagner des milliards. Mais aussi les perdre, si leurs manipulations échouent.

Pourquoi la Suisse ne sera jamais attaquée ?

La Confédération helvétique a tout pour rassurer : un excédent budgétaire en 2009 de 1,8 milliard d’euros, une dette qui représente 45 % du PIB, un taux d’épargne des ménages de 13 %. Alors que même l’Allemagne peut avoir du mal à placer ses emprunts. Jeudi, Berlin n’est pas parvenu trouver preneur pour 6 milliards d’obligations à dix ans, le compteur s’est arrêté à 4,8 milliards dont 20 % ont été placés auprès de la Bundesbank. C’est un signe de défiance qui peut expliquer que la chancelière Angela Merkel se soit montrée soudainement plus confiante que jamais dans l’avenir de la zone euro, au moins dans ses déclarations.

A quoi servent le Fonds européen et le FMI ?

Cette mécanique implacable qui veut que l’on parvienne à se financer en fonction de la confiance que l’on inspire explique la mise en place du Fonds européen de stabilité financière (FESF) qui se substitue aux États défaillants. Cela revient à aller chercher son père ou sa mère pour être caution d’un emprunt ou pour obtenir la location d’un appartement. Mis en place en juillet, il peut lever 440 milliards d’euros avec un taux d’intérêt proche des meilleurs.

Un pays peut-il faire faillite ?

Oui et non. Quand un pays renégocie sa dette avec ses créanciers on peut considérer qu’il a fait faillite. Il n’est pas en mesure de faire face à ces engagements immédiats. Dans cette situation, une entreprise dépose son bilan. La liquidation viendra ensuite si aucune solution de relance ne se dessine. Quand l’Irlande doit accepter la caution de l’Europe, on peut considérer qu’elle est en faillite.

France Soir

mercredi, 01 décembre 2010

La visione di un mondo multipolare è la chiave per un futuro possibile

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La visione di un mondo multipolare è la chiave per un futuro possibile

di O. Pesce

Ex: http://conflittiestrategie.splinder.com/

Ascoltando le unanimi opinioni in merito all’Afganistan di La Russa, Fassino e le disquisizioni di Frattini viene spontaneo pensare perché si formano certe idee o meglio cosa nascondono.

Mentre in Afganistan Karzai apre un terreno di discussione con i Talebani per porre fine alla guerra e annuncia: “Via gli army contractors entro la fine dell’anno”, da noi si parla di armare gli aerei del contingente italiano con bombe (ovviamente da usare). Si precisa che il ritiro delle truppe dell’ISAF è condizionato dall’esito delle trattative con i Talebani moderati. Creando così delle discriminazioni e degli ostacoli che intralciano il processo di pace.

Tutti possono osservare che di fronte a una situazione che si muove velocemente, con mutevoli scenari, non è plausibile riproporre le ormai vecchie storielle sulla presenza delle truppe ISAF in Afganistan, cioè per la “democrazia” eccetera…

Veniamo al dunque:

1. Brasile, Venezuela e Turchia esprimono nel loro ultimo incontro un’unanime dichiarazione favorevole alle posizioni di Teheran;

2. Negli ultimi tempi si nota che in Turchia l’esecutivo legislativo (la politica) si è rafforzato rispetto all’esercito (da sempre stretto alleato della NATO). La stessa alleanza che la Turchia ha con Israele è a una svolta, si consideri che Israele è un alleato strategico statunitense. Il primo ministro turco Erdogan esprime opinioni che non caldeggiano l’entrata della Turchia nella UE;

3. Nello stesso Iran si è rafforzata la posizione di Ahmadinejad (sostenuto dalle forze armate) mentre si sente di meno la guida degli ayatollah. Il presidente iraniano vuol trattare, ricerca soluzioni politiche dimostrando che non vuole lo scontro militare ( l’attenzione agli armamenti è uno strumento per far avanzare la trattativa e scoraggiare l’aggressione);

4. Karzai ha reso pubbliche le trattative con il Mullah Omar;

Quali previsioni e considerazioni trarre da questi nuovi fatti?

Il problema reale è che sia l’Iran che la Turchia sono potenze regionali e come tali si muovono in uno scacchiere che riguarda in particolare l’Afganistan e le ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. L’interesse di queste potenze regionali non è nel ricercare lo scontro militare con l’occidente, ma nel trovare tra loro la soluzione dei problemi dell’intera area cercando una convivenza con la Cina e la Russia come potenze confinanti. Tutto ciò proprio in funzione dello sviluppo economico e sociale dell’intera area, che è ricca di materie prime, che possiede antiche culture e ha possibilità reali di sviluppo economico. Non dimentichiamoci che anche gli stessi iracheni del post Saddam hanno sempre chiesto di risolvere i loro problemi da soli, senza la presenza di truppe occidentali. Se la trattativa di Karzai avesse un esito positivo si verrebbe a porre in atto il ritiro totale delle truppe ISAF.

L’occidente non ha nulla a che vedere con questi paesi, l’occidente per tali popoli è l’espressione del colonialismo. La stessa rivalità tra Sciiti e Sunniti non è una questione reale, ma una forzatura dell’occidente come la montatura della ricerca delle armi chimiche di Saddam.

Queste analisi sono indicatori che nel mondo si fa sempre più strada la tendenza verso un mondo multipolare. Magari questa propensione potrebbe non tradursi subito in realtà, ma certe riflessioni e previsioni vanno ugualmente fatte perché possono delineare gli sviluppi futuri. Da noi si ignorano queste realtà e si continua a perseverare nella vecchia maniera delle bugie, a negare l’evidenza delle cose sulla base di una supremazia oggi svanita e molto spesso nel voler essere più realisti del re. Per cui, pur senza assumere toni trionfalistici e senza farci prendere da facili entusiasmi è necessario ribadire che il nostro paese, ma soprattutto l’Europa deve avere una sua politica che si apra a una modernizzazione minima del pianeta, che si ponga come interlocutore a questi paesi nello sviluppo economico e commerciale su un piano di parità. Il primo atto dell’Italia e dell’Europa consiste nel ritirare le missioni militari “di pace” da tutti i paesi. Occorre anche invertire la rotta sbagliata seguita finora e cioè considerare utili solo i paesi emergenti, mentre per i restanti del terzo mondo vi è solo rapina.


mardi, 30 novembre 2010

La Chine et la Russie abandonnent le dollar comme devise de leurs échanges commerciaux

La Chine et la Russie abandonnent le dollar comme devise de leurs échanges commerciaux

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La Chine et la Russie ont convenu de ne plus utiliser le dollar dans leurs échanges commerciaux mais leur propre devise, ont annoncé mardi le Premier ministre chinois, Wen Jiabao et son homologue russe, Vladimir Poutine, à l’issue de la quinzième rencontre de haut-niveau entre les deux nations.

Les deux dirigeants ont déclaré que cette décision reflétait un renforcement des liens entre Pékin et Moscou et n’était pas destinée à remettre en cause la devise américaine mais à protéger leurs économies respectives.

Par le passé, la Chine et la Russie utilisaient dans leur commerce bilatéral d’autres devises, dont le dollar, mais la crise financière internationale et la baisse du billet vert ont conduit les deux parties à considérer une autre alternative.

 

La rouble est actuellement la sixième devise étrangère, après le dollar, l’euro, la livre Sterling, le dollar de Hong Kong et le ringgit malais à être autorisée par la Chine dans ses échanges commerciaux, annonce le Moscow Times.

Le China Foreign Exchange Trade System, le régulateur chinois d’échanges commerciaux avec l’étranger, a indiqué dans un communiqué que cette décision permettra de réduire les risques et de faciliter le commerce bilatéral entre la Chine et la Russie.

La première transaction commerciale de cette nouvelle donne a eu lieu lundi et concerne l’Industrial & Commercial Bank of China Ltd. et la Bank of China Ltd., pour un montant d’un million de yuans (151.000 dollars), selon Bloomberg.

La National Bank of China évalue un yuan à 4,6 roubles pour le départ de ces nouvelles régulations, annonce RT.

Cette annonce conjointe est perçue comme le résultat d’une augmentation des échanges commerciaux entre les deux pays. Durant les dix premiers mois de l’année 2010, le volume global des échanges a atteint 45,1 milliards de dollars, soit une hausse de 43,4% par rapport à la même période, l’année passée.

Les discussions entres les deux pays devraient maintenant porter sur les prix du gaz naturel importé par Pékin et que les Chinois espèrent réviser à la baisse…

Tout sur la Chine

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La Chine et la Russie éjectent le dollar

Le Premier ministre chinois Wen Jiabao et son homologue Vladimir Poutine ont annoncé, à l’issue de leur rencontre du 23 septembre à Saint-Pétersbourg, que le dollar n’est désormais plus la monnaie utilisée pour leurs échanges commerciaux bilatéraux.

C’est la première fois que le dollar est ainsi déréférencé par deux puissances économiques majeures. La première fois, mais peut-être pas la dernière… Alors que les Etats-Unis, noyés dans les déficits, tentent de relancer leur économie et que la Fed révise à la baisse ses prévisions de croissance.

Le rouble et le yuan servent maintenant à régler les échanges commerciaux bilatéraux, se substituant au dollar, utilisé par la Russie et la Chine à ce jour. Le Premier ministre russe le confirme : « Le rouble et le yuan ont déjà commencé à se négocier sur les marchés interbancaires des deux pays. Dans une étape ultérieure, le renminbi sera lui aussi utilisé ». Et le ministre russe des Finances Alexeï Koudrine, d’enfoncer le clou : « Le yuan pourrait devenir une monnaie de réserve au cours des dix prochaines années ».

Les deux pays ont également signé un accord pour renforcer leur coopération dans les secteurs de l’aviation, de la construction ferroviaire, de l’énergie y compris le nucléaire. Le document couvre également les questions douanières et de propriété intellectuelle. Wen Jiabao a salué cet accord, déclarant que « le partenariat stratégique entre les deux nations avait atteint un niveau sans précédent ».

Le moniteur du commerce international

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Autre article lié :

Poutine appelle à contrer le « monopole excessif » du dollar

Le premier ministre russe Vladimir Poutine, en visite à Berlin, a qualifié l’euro de monnaie stable et appelé à renoncer au monopole excessif du dollar en tant que devise de réserve, rapporte vendredi le correspondant de RIA Novosti.

« On observe actuellement des problèmes au Portugal, en Grèce et en Irlande, l’euro chancelle quelque peu, mais, somme toute, c’est une bonne devise mondiale, une monnaie stable », a indiqué le chef du gouvernement russe lors d’un forum économique réunissant les dirigeants des plus grandes entreprises allemandes.

« Le monopole excessif exercé ces derniers temps par le dollar en tant qu’unique monnaie mondiale de réserve était à mon sens mauvais, et nous devons y renoncer. C’est mauvais pour l’économie mondiale. Cela l’a déséquilibrée », a estimé M.Poutine.

Le forum économique berlinois a été organisé par le journal allemand Süddeutsche Zeitung.

Ria Novosti

Mistral gagnant

Mistral gagnant

Par Alexandre Latsa*

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Lorsque la Russie a rendu public son souhait d’acquisition de Bâtiments de Projection et de Commandement (BPC) Mistral, la France a répondu par l’affirmative. Rapidement pourtant, des voix se sont élevées, exprimant des réticences à cette transaction. Ces réticences émanaient d’États impliqués dans des contentieux plus ou moins importants avec la Russie (Géorgie, États Baltes) et qui craignaient un risque de déséquilibre de la sécurité régionale, crainte accrue par le conflit d’août 2008 dans le Caucase.

Pourtant il semble irréaliste d’imaginer que la Russie de 2010 ait des intentions agressives envers un pays européen et ces réticences ont été interprétées comme une possible crispation de Washington, embarrassé par une acquisition de matériel aussi sensible. Mais le cadre est sans doute plus large et concerne l’évolution des rapports de force sur les mers, et l’affaiblissement de la domination militaire et maritime américaine, acquise durant la guerre froide. Pour mieux cerner la situation, il convient de comprendre l’utilité des Mistral et regarder dans quel contexte global la Russie souhaite cette acquisition.

Les BPC sont des outils de projection, permettant de réaliser depuis la mer des opérations terrestres. Multi-fonctionnels, ils peuvent servir au débarquement de troupes, à la lutte contre la piraterie maritime ou encore à des actions humanitaires. Le Mistral, qui appartient à cette classe BPC, peut transporter jusqu’à 1200 hommes, 16 hélicoptères, jusqu’à 120 véhicules (dont des blindés), deux aéroglisseurs et des navettes de débarquement.

Le navire comprend en outre des canons, des batteries de missiles, des installations médicales, et un centre de commandement. La forte capacité de projection et de déplacement sur des théâtres d’opérations lointains que permet ce BPC est essentielle pour la Russie qui ne possède plus à ce jour de matériel équivalent, depuis le retrait des navires de type Rogov, au début de la décennie.

 

Durant la guerre froide, l’URSS ainsi que les régimes non alignés rechignaient à l’acquisition de porte-avions et porte-aéronefs, guidés par un non interventionnisme et un anti-impérialisme dogmatique, lorsque ce n’était pas pour des contraintes matérielles. Dès la fin de la guerre froide, le monde a connu une décennie de domination militaire américaine totale, acquise justement par cette capacité de déplacement et projection de forces militaires à l’autre bout de la planète. 20 ans plus tard, l’émergence de puissances régionales contribue à entraîner la planète vers un multilatéralisme qui fait que désormais de nombreux pays ont  des ambitions de présence sur les océans du globe.

Hormis les traditionnelles flottes Occidentales, la Russie, la Chine, le Brésil, la Corée du sud, la Turquie ou le Japon souhaitent se doter de porte-avions ou porte-hélicoptères, ce qui devrait permettre à tous ces États une réelle capacité d’intervention à l’autre bout du monde au milieu du siècle. La Russie via l’amiral Vladimir Vysotsky avait montré  son intérêt pour les BPC français lors du salon Euronaval de 2008, expliquant que la Russie se préparait à construire une flotte de porte-avions, prévue pour être opérationnelle vers 2060.

Le barrage des réticences diplomatiques contourné, et les « resets » entre la Russie, l’Amérique, et l’OTAN confirmés, l’année franco-russe tombait à point. Vladimir Poutine, en confirmant dès le milieu de l’année, lors d’une visite à Paris, que Moscou ne fournirait pas de missiles S-300 à l’Iran après le vote de sanctions par l’ONU, avait en outre réglé cette épineuse question.  Les différends entre les parties au contrat portaient sur deux points : les technologies afférentes, et le lieu de fabrication. La France souhaitait une vente sans technologie de pointe et qu’au moins deux bateaux soient fabriqués en France. La Russie, elle, conditionnait l’achat aux technologies liées et souhaitait acheter un seul navire, et faire construire les trois autres en Russie.

Si l’on semble plutôt se diriger vers la formule française pour la fabrication, le premier bateau devrait être livré avec la technologie de pointe liée, et notamment les dispositifs de calcul de conduite des opérations aériennes, essentiels pour le développement ultérieur des porte-avions. Récemment, Vera Chistova, vice-ministre de la Défense pour les moyens économiques et financiers, a confirmé que les dépenses pour l’achat ont été pré-intégrées aux budgets russes des trois prochaines années.

Côté français, Le directeur de la DCNS (fabricant militaire du Mistral) Pierre Legros, a lui indiqué que ces navires disposeraient des mêmes équipements que ceux de la marine française et que les seules différences seraient un pont d’envol renforcé pour accueillir les hélicoptères russes et une coque plus résistante pour pouvoir naviguer dans des eaux glacées. Quand au PDG de l’association des chantiers où devrait être fabriqué le Mistral, il a affirmé que le premier navire pourrait être construit fin 2013 et le deuxième en 2015. Les chantiers navals russes devant être en mesure de construire seuls les autres bâtiments dès l’année 2016.

Il est donc plausible, et souhaitable, que l’année franco-russe se termine par un accord commercial et politique majeur.  Pour le président français l’enjeu est de taille, sur un plan financier, le prix d’un bateau avoisinant les 500 millions d’euros, mais également sur un plan politique, afin de prouver que la ré-intégration de l’OTAN en 2009 n’a pas ôté toute souveraineté à la France. Du côté russe, l’acquisition est importante d’un point de vue militaire, mais aussi sur le plan géopolitique, la Russie se donnant ainsi pleinement les moyens d’atteindre l’objectif de la politique entamée en mars 2000 : rester une puissance de premier plan.

* Alexandre Latsa, 33 ans, est un blogueur français qui vit en Russie. Diplômé en langue slave, il anime le blog DISSONANCE, destiné à donner un « autre regard sur la Russie« .

Ria Novosti